La maggioranza a Montecitorio tiene
A sinistra si riparla di mini-scissione

Mercoledì 26 Febbraio 2014 di Nino Bertoloni Meli
La maggioranza a Montecitorio tiene A sinistra si riparla di mini-scissione
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Il simbolo, almeno quello, c’ gi. Si tratta del Nuovo centrosinistra, interfaccia e parallelo del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Pippo Civati, il promotore, l’ha fatto vedere a pochi ben scelti, e a questi il simbolo è apparso come un grande cerchio dentro il quale sta un cerchio più piccolo, rigorosamente in rosso, con la scritta Nc e la s un po’ più staccata. Scissione alle viste in casa dem? «Ma no ma no», mette subito le mani avanti Civati, «lo teniamo comunque pronto, non si sa mai, le cose possono evolvere». In che senso? «Beh, non è che quanto sta accadendo al Senato tra i cinquestelle ci è estraneo, non è che vengono espulsi senza che noi interloquiamo», spiega il terzo arrivato alle primarie vinte da Matteo Renzi. C’è il simbolo, insomma; c’è in fieri l’operazione politica; ma non ci sono (ancora) le premesse, le condizioni e la volontà politica per fare il gran passo.



C’è al momento un gruppo possibile al Senato, che potrebbe oscillare tra i quindici e i venti senatori, formato da civatiani del Pd (sei-sette), esponenti di Sel (sette), e grillini già dissidenti (tre al gruppo misto) cui si aggiungerebbero le ultime vittime della mannaia del comico. «Se è stato possibile Ncd sul versante della destra, perché non sarebbe possibile un Ncs sul versante della sinistra?», spiega a sua volta Corradino Mineo, uno dei più attivi al Senato tra i promotori dell’operazione.



Gli obiettivi Lavorano in sintonia con Renzi o sono in pericolosa rotta di collisione? Nel Pd non ci sono state defezioni al momento della fiducia, ma i numeri raccolti a palazzo Madama - quota 169 - non sono tali da assicurare sonni e navigazione tranquilli al Renzi uno. «Il problema è nato perché alcuni del Gal che avevano votato il governo Letta non hanno rinnovato la fiducia a Renzi», spiega cercando forse di minimizzare il renziano Andrea Marcucci. Musica diversa alla Camera, dove la maggioranza tiene bene e con i suoi 378 sì, Renzi è sotto di un solo voto rispetto a Letta.



Tre alleanze Lui, il premier, ha di fatto precostituito tre cerchi diversi, tre maggioranze a elastico (quella politica che sostiene l’esecutivo, quella per le riforme con Berlusconi, e quella aperta a sinistra con Sel e grillini dissidenti), non intercambiabili ma pronti alla bisogna su singoli provvedimenti. «Sul lavoro, o sulla giustizia, o sulla stessa legge elettorale, potremmo presentare nostre proposte in Parlamento sulle quali chiedere il voto», anticipa Civati. «Il sì alla fiducia che abbiamo dato per lealtà e disciplina politica, è per tenerci poi le mani libere», chiosa Mineo.



L’operazione Ncs, se scatterà, potrebbe partire subito dopo le Europee, quando si vedrà se il Pd ha un buon risultato tale da essere o meno un punto di riferimento e di aggregazione possibile.



Anche perché, nella strana maggioranza renzian alfaniana, non è che le altre componenti stravedano all’idea di un allargamento a sinistra. Tutt’altro. Già i Popolari per l’Italia puntano i piedi, e con Lorenzo Dellai avvertono: «Giusto fare le riforme con l’opposizione, ma le maggioranze non possono essere sostituibili a piacimento». Spiega Beppe Fioroni, che di numeri parlamentari e di ricadute politiche è esperto: «Io ormai sono diventato renziano, dico che il governo deve andare avanti e va sostenuto. E proprio per questo dico a Matteo di non sottovalutare i maldipancia tra i Popolari, di non penalizzarli nella scelta dei sottosegretari, altrimenti al Senato si balla, loro lì sono oltre una decina. Chiaro?». Fioroni non è l’unico convertito sulla via renziana. C’è anche Massimo D’Alema, tra i più agguerriti contro l’avvento del giovane sindaco, che adesso agita il ramoscello e dice: «Renzi non è il mio modello, ma ora c’è e dobbiamo aiutarlo». E si spiega pure il ritorno di Pierluigi Bersani proprio nel giorno della fiducia, un contributo importante al risanamento di ferite.



Si respira aria di pax interna nel Pd, con Bersani che avrebbe dato indicazione di puntare sul capogruppo Roberto Speranza come riferimento unitario e dialogante della minoranza rispetto al segretario, al posto di Stefano Fassina troppo incendiario e che non perde occasione di attizzare gli animi. Nel dibattito interno alla minoranza, Fassina non vuole condividere la responsabilità della segreteria da rimpastare (in quattro sono diventati ministri), «se dev’essere cassa di risonanza del governo, non ci sto». «Il congresso è finito definitivamente con la nascita del Renzi uno, ora si rema dalla stessa parte», avverte Francesco Verducci dei giovani turchi. E si torna a parlare di presidenza del partito per Bersani.
Ultimo aggiornamento: 17:34

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