Senato, 2 popolari lasciano maggioranza. Il Pd: erano già fuori. Rischi sulla scuola

Giovedì 4 Giugno 2015 di Claudio Marincola
Senato, 2 popolari lasciano maggioranza. Il Pd: erano già fuori. Rischi sulla scuola
2
«Erano quattro amici al bar, ora due se ne vanno e due restano». Nella buvette del Senato fioccano le battute. Nessuno vuol prendere troppo sul serio la mini-scissione, poco meno di una implosione, che si è consumata tra i Popolari per l'Italia.



Effetto della decisione presa dalla direzione del partito e comunicata urbis et orbis con una lettera dal presidente Mario Mauro. Decisione che come primo effetto ha comportato l'uscita dalla maggioranza. «Eravamo entrati in un governo di coalizione ma senza Forza Italia è cambiato il registro - spiega Mauro - . Ormai l'esecutivo è un monocolore di cui si potevano condividere al massimo alcuni i titoli ma non i capitoli». Alla base della decisione di Mauro, ex ministro della Difesa nel governo Letta, c'è un «giudizio negativo su una gestione politica che sta tenendo in stallo l'Italia, la sua economia e il suo bisogno di crescita». Quando Mauro ha comunicato lo strappo non sapeva se gli altri due popolari, il sottosegretario all'Istruzione Angela D'Onghia e il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi, (che si è dimesso dal partito), lo avrebbero seguito. E che Tito Di Maggio è in procinto secondo fonti bene informate di passare da Gal al neonato gruppo dei Conservatori e riformisti di Raffaele Fitto. Passaggio che ha suscitato le ironie della berlusconiana di ferro Maria Rosaria Rossi, «...forse ci sono troppi “Gal” nel pollaio...», allusioni al sovraffollmanento del gruppo delle Autonomie.



Ironie a parte, nessuno vuole drammatizzare. Anzi. Il capogruppo democrat Luigi Zanda è il meno preoccupato. «Tanto rumore per nulla», cita Shakespeare lasciando l'Aula. Nell'ambiente democrat si fa notare che sia Mario Mauro - montiano ai tempi di Scelta civica e di provenienza ciellina - che Di Maggio già da tempo non votavano più la fiducia al governo.



È un fatto però che la maggioranza renziana sarà sempre più risicata. Numeri alla mano il premier può contare su 172 voti, appena 9 sopra al quorum (161). Il Pd ne ha 112, (più quello del presidente Grasso che però non vota); Area Popolare 36; Rete per le autonomie 17; Gal 3 e il Misto 4. Ergo: se i 24 dissidenti della minoranza dem decidessero di fiocinare governo potrebbero fare centro anche senza prendere la mira. E sempre a proposito di numeri, l'opposizione mette insieme 144, 36 M5S, 12 Lega, 12 Gal, 26 Misto. Insomma si sta sul filo.



GLI STABILIZZATORI

In un quadro così polverizzato l'uscita dei popolari per l'Italia non avrà forse grandi conseguenze. Ma se lo scricchiolìo preannunciasse una nuova scossa? «Gli incidenti sono sempre dietro l'angolo - chiosa Paolo Naccarato, Gal - forse qualcuno a questo punto dovrebbe porsi il problema e fare in modo che l'area che io definisco degli “stabilizzatori” si trasformi in qualcosa di più politicamente riconoscibile. A Palazzo Chigi la creatività di certo non manca». Sulla carta i senatori fluttuanti, disposti cioè a votare la fiducia o a uscire al momento opportuno, sarebbero almeno 25. C'è chi pensa che per renderli meno occasionali andrebbero “perimetrati” formando un intergruppo. La mossa tocca a Renzi.



DDL SCUOLA A RISCHIO

I pericoli maggiori il governo li corre da subito in commissione Istruzione.
Il passaggio di Tito Di Maggio dalla componente di Gal che sostiene il governo al gruppo fittiano potrebbe complicare ulteriormente le cose. Favorevoli al provvedimento del governo sarebbero gli 11 della maggioranza contro i 12 dell'opposizione. Senza dire che ancora ieri Walter Tocci e Corradino Mineo, entrambi vicini a Civati, su Facebook sono tornati ad attaccare pesantemente la riforma. per smussare le critiche e trovare un punto di incontro i democrat ieri si sono riuniti in assemblea nella sala Koch.
Ultimo aggiornamento: 5 Giugno, 11:33

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci