Schlein non rinuncia ai Cinque Stelle: «Da soli non si vince». E chiede lealtà al partito

In direzione la sfida alla minoranza: "Qui per restare, chi non è d'accordo lo dica"

Martedì 20 Giugno 2023 di Andrea Bulleri
Schlein non rinuncia ai 5S «Da soli non si vince». E chiede lealtà al partito

ROMA Rivendica l'abbraccio con Giuseppe Conte nella piazza dei Cinquestelle: «Se mi chiama Calenda a una sua manifestazione, porto un saluto anche lì». Chiede «lealtà» a chi nel Pd la contesta: «Serve un'orchestra che suoni lo stesso spartito». E per invocare unità, cita Daniele Silvestri: «Le cose che abbiamo in comune sono 4850» (salvo poi mettere in chiaro che il «giochino» del logoramento del segretario stavolta «non funzionerà»: «Mettetevi comodi avverte siamo qui per restare»). Parla per oltre un'ora, Elly Schlein, in apertura della direzione nazionale del Pd al Nazareno.

Lanciando una «estate di mobilitazione» per riconquistare il popolo dem su 7 capitoli, dal Pnrr al no all'autonomia differenziata, fino diritto alla casa. E provando a uscire dall'angolo in cui l'hanno confinata le polemiche delle ultime settimane. Dalla batosta alle Comunali alla linea tentennante sull'Ucraina di alcuni suoi fedelissimi. Fino al polverone per aver partecipato alla manifestazione pentastellata di sabato a Roma, dove Beppe Grillo ha invitato la piazza a «indossare il passamontagna» e formare «brigate di cittadinanza» (ieri l'ex comico ha provato a ridimensionare quell'uscita, chiarendo che «era una boutade»).

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LA PIAZZA

Scelta, quella di farsi vedere in piazza insieme a Conte, che Schlein difende, perché il Pd per tornare competitivo deve tendere una mano ai potenziali alleati. «La destra ha una coalizione che anche quando si divide poi si ricompatta, e noi quella coalizione oggi non ce l'abbiamo», premette la segretaria. Ai ballottaggi «non abbiamo perso da soli, ma non pensiamo di essere autosufficienti» dunque scandisce «dobbiamo costruire sinergie con le forze alternative alla destra». E pazienza se coi grillini «sull'Ucraina ci sono distanze siderali» (per il Pd la linea è «pieno supporto a Kiev anche con aiuti militari»). Su altri temi invece, come «il lavoro, possiamo unire i nostri sforzi». Tocca ai dem provarci, è convinta la leader, nonostante le divergenze. E non solo con il Movimento: «Se Calenda mi invita a una sua manifestazione, io porto un saluto anche lì».
Un modo per rispondere a chi proprio quella foto dell'abbraccio con Conte non è andata giù. Come Alessio D'Amato, ex candidato dem alla Regione Lazio, dimessosi dall'assemblea del Pd e dato in uscita verso Azione (magari per fare il capolista del partito calendiano alle Europee, dicono le voci). Anche Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento Ue, in direzione non fa sconti alla segretaria. «La partecipazione alla manifestazione dei Cinquestelle è stata un errore», affonda senza mezzi termini l'eurodeputata. E le critiche non sono «lesa maestà». Un concetto che sono in molti, nelle repliche, a consegnare alla leader.
Perché Schlein nel suo intervento alterna bastone e carota, attacco e difesa. Un minuto prima invita tutti al lavorare insieme («credo nel gioco di squadra»), un minuto dopo sfodera gli artigli contro «chi cerca l'incidente ogni giorno», ossia una parte della minoranza interna: «Quando sento che non c'è una linea politica sorrido: se a qualcuno questa linea non piace, lo ammetta e non trovi altre scuse», avverte. Poi rivendica di aver portato il Pd «dal 15 al 21%» e critica le divisioni interne (citando, stavolta, «Fai rumore» di Diodato: «Basta col canto e controcanto dei dirigenti»). E infine attacca ancora: «C'è chi spera di sortire qualche effetto con il giochino del logoramento dei segretari. Non funzionerà, mettetevi comodi. Siamo qui per restare e restare insieme».

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Un passaggio che alla minoranza (dove si fan notare l'assenza in sala di big "pro Elly" come Dario Franceschini e Andrea Orlando) proprio non va giù. «Nessuno vuole azzoppare la segretaria», ribatte Lorenzo Guerini, capo della corrente moderata di Base Riformista, che bolla l'uscita sul logoramento come «inutilmente polemica». Duro anche Alessandro Alfieri, che però esclude un addio dei riformisti al partito (e scomoda Tito Livio): «Hic manebimus», avverte il senatore dem: «Quanto all'optime, lavoriamoci. Il Pd è plurale o non è».
Eccola, la critica che viene mossa alla segretaria da tutta la minoranza. «Va bene la lealtà dice a microfono spento più di un maggiorente dem ma Elly deve dimostrare di saper guidare un grande partito tenendo conto di tutte le sensibilità. Non è la segretaria di Articolo Uno, ma del Pd». E poi «va bene cercare l'alleanza coi Cinquestelle», ma «non possiamo perdere la vocazione maggioritaria», invoca Stefano Bonaccini: «Non è con approcci minoritari che mandiamo via la destra dal governo». Tocca al Pd, insomma, fare da «perno della coalizione», e non inseguire i 5S, il messaggio recapitato dal governatore romagnolo.

 

CAPITOLO GIUSTIZIA

Polemiche anche sul capitolo giustizia. Dove a finire sul banco degli imputati è il no alla riforma Nordio scandito da Schlein, nonostante l'appello di molti sindaci dem al Nazareno (a cominciare dal coordinatore e primo cittadino di Pesaro, Matteo Ricci) a non opporsi all'abolizione dell'abuso d'ufficio. Reato che, per Giorgio Gori, porta a una «paralisi delle amministrazioni» e «peggiora la qualità dei servizi a danno dei ceti più deboli». Per questo il sindaco di Bergamo durante la direzione invita la segretaria a valutare la riforma senza preconcetti: «Non ci possiamo fermare solo ad un riflesso dettato dal nostro essere all'opposizione del governo Meloni, dobbiamo ragionare nel merito». I nodi, insomma, restano sul tavolo. E l'appello è quasi unanime: «È la segretaria che adesso ha il compito di scioglierli».
 

Ultimo aggiornamento: 21 Giugno, 08:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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