Giustizia fai da te, raid organizzati sui social e botte ai borseggiatori

Il pestaggio dopo un furto nel centro di Roma è soltanto l’ultimo episodio

Martedì 22 Agosto 2023 di Claudia Guasco
Giustizia fai da te, raid organizzati sui social e botte ai borseggiatori

Due giorni fa a Roma, all’esterno di un ristorante di via dei Pastini poco lontano dal Pantheon, un giovane sta cenando e si accorge che una donna cerca di rubargli lo zaino appoggiato alla sedia.

Gran trambusto, immortalato da un residente che abita accanto al locale.

E ad avere la peggio è proprio la ladra, che prova a scappare ma viene colpita con calci e pugni da clienti e camerieri. Nessuno chiama le forze dell’ordine, la giustizia fai da te è rapida e scatta come un riflesso condizionato.

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In altri casi è il risultato di un’ira di gruppo che si autoalimenta, di un richiamo innescato dai social che incita alla vendetta. Con un effetto paradossale: chi si accanisce su un presunto colpevole, chi filma i borseggiatori sulla metropolitana o espone al linciaggio web presunti stupratori sostiene di agire in nome della giustizia, ma ottiene il risultato di amplificare la violenza.

CACCIA ALL’UOMO

Così anche una manifestazione pacifica, come quella organizzata a fine luglio in ricordo di Michelle Causo uccisa a 17 anni e abbandonata tra i cassonetti della spazzatura, si trasforma in brutalità. Alcuni amici hanno sfondato il portone della casa del suo assassino, sono saliti e hanno divelto i sigilli distruggendo i mobili fino a che la polizia non li ha bloccati. Il 9 agosto la furia collettiva si è scagliata contro Davide Begalli, il pirata della strada che ha investito e ucciso nei pressi di Verona Chris Obeng Abon, 14 anni, fuggendo senza prestare soccorso. Una trentina di persone, con il volto camuffato, ha preso di mira la casa dove l’uomo è agli arresti domiciliari scagliando sassi. «Vieni fuori, che ti ammazziamo», urlavano. L’adunata è partita dalla rete, dove finiscono tutti, senza distinzione. Colpevoli, innocenti e chi ha la sventura di chiamarsi nello stesso modo. Lo sa bene Cristian Umberto Barone, 17 anni appena compiuti, la cui vita è un inferno. Lui non ha fatto nulla, ma ha la sventura di essere incappato in un caso di omonimia: ha lo stesso nome di uno dei ragazzi arrestati per lo stupro di gruppo avvenuto a Palermo il 7 luglio.

«Sta ricevendo una valanga di insulti - racconta la sorella - e se qualcuno dovesse fermarlo per strada, credendo che sia l’indagato, non sarebbe certo gentile con lui. Siamo veramente preoccupati». Cristian, seppure innocente, è finito nel meccanismo inesorabile della giustizia sommaria. Qualcuno ha cercato sui social i profili dei sospetti aggressori, ne ha fatto un post di successo invitando a condividerlo. Come è accaduto a dicembre scorso a Gravedona, provincia di Como. Tre ragazzi ritratti in una foto mentre passeggiano lungo l’imbarcadero finiscono su una pagina web nota in paese con l’inequivocabile appellativo di «ladri», finché i carabinieri non li fermano e appurano che con i furti in zona non c’entrano nulla. Nel frattempo però hanno dovuto vedersela con gli abitanti: «Facciamo le ronde, prendiamoli e si pentiranno di essere nati», «organizziamo un gruppo di fuoco», «hanno capito che la giustizia qua fa ridere e peggio di loro c’è chi nega l’evidenza», i messaggi in rete. Un benzinaio di Pesaro, bersagliato dalle rapine, ammette che la soluzione ha successo: lui consegna le immagini delle telecamere alla questura e contemporaneamente le diffonde in rete. «Ormai faccio così e ha quasi sempre funzionato - afferma - Pubblico la foto dei ladri su Facebook. Ho subito tanti danni, li ho risolti grazie ai social. In un paio di casi, si sono fatti vivi gli stessi vandali. Uno era dipendente di un cinema e voleva salvare faccia e posto di lavoro. Abbiamo definito in via stragiudiziale».

BORSEGGIATRICI
A Milano la strada è stata aperta dalla pagina MilanoBellaDaDio, nata come contenitore di episodi di eccessi e degrado cittadino diventando poi un genere a parte. Pezzo forte, i video delle professioniste del furto che sfilano i portafogli sui mezzi pubblici. Una valanga. E la consigliera comunale Monica Romano ha aperto il dibattito sul tema: «La smettano, sia quelli che realizzano i video, sia chi gestisce i canali Instagram che li rendono virali, di spacciare la loro violenza per senso civico, perché non è senso civico. Non è così, trasformando le persone in bersagli, che si ottiene giustizia». Naturalmente è stata coperta di improperi e minacce via social. 

Ultimo aggiornamento: 07:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA