Messina Denaro, il colonello Arcidiacono che l'ha catturato: «Era diverso dagli altri boss e il male non l’ha piegato. Sveleremo i suoi misteri»

Parla il colonnello del Ros che l’ha catturato: «Mai creduto fosse morto»

Martedì 26 Settembre 2023 di Nicola Pinna
Messina Denaro, il colonello Arcidiacono: «Era diverso dagli altri boss e il male non l’ha piegato. Sveleremo i suoi misteri»

In una squadra composta da fantasmi col nome in codice, Lucio Arcidiacono è l’unico che ci mette la faccia.

Nome e cognome nelle interviste della prima ora, voce decisa e sguardo fiero, inquadrato sempre da vicino dalle tv di mezzo mondo, che il 16 gennaio 2023 raccontano in presa diretta la caduta dell’imperatore dei clan siciliani. L’imprendibile di Castelvetrano, l’uomo che ha costruito il potere col sangue, ora è in trappola e quella trappola gliel’ha tesa proprio lui. A Palermo in una mattina di “breaking news”, sirene e cittadini che applaudono per le strade, tutti lo chiamano “il colonnello”, come fosse l’unico con quel grado in una città in cui gli alti ufficiali sono tanti e in poco tempo si sono addirittura moltiplicati.

È il volto simbolo dell’operazione che magistrati e investigatori non riuscivano a concludere da trent’anni. È la voce che deve raccontare i sacrifici di tutti quegli uomini che ancora non possono togliersi il passamontagna. E non si tira indietro. I dettagli li svela sempre lui, ma dietro ogni parola si nota la solita ossessione, quella di non oscurare l’impegno di un gruppo di militari che non si sa neppure quanti siano e che ancora devono scoprire molti dettagli di una latitanza troppo misteriosa. Ci sono da individuare covi, recuperare pizzini e arrestare fiancheggiatori. Passato il clamore, “il colonnello” torna dietro l’ombra delle caserme del Ros, nel silenzio della salette intercettazioni. A continuare un lavoro che rischia di andare avanti per lo stesso tempo che è durata la fuga dalle manette di Matteo Messina Denaro. Ora che i reati sono tutti estinti, archiviati definitivamente dall’unica condanna a cui il boss sapeva di non poter scampare, Lucio Arcidiacono accetta una nuova intervista. Ma a una condizione: dell’ex latitante, a cui ha deciso di non bloccare i polsi con le manette, si parla solo per ragioni investigative. Né gioia né cordoglio, di fronte al quarto grado di giudizio, quello della morte.
 

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Oggi che Messina Denaro è deceduto c’è una domanda che avrebbe voluto fargli? 
«Sì, tante, ma tutte di carattere investigativo. Perché stiamo parlando di un assoluto protagonista, in negativo, della stagione delle stragi in Italia e dell’attacco di “Cosa nostra” contro lo Stato, un uomo che avrebbe potuto certamente dare il suo contributo per la ricerca della verità. Avrei sperato passasse più tempo in carcere, per riflettere sul mare compiuto».
 

Cosa l’ha colpita di più degli sguardi o delle parole del boss quando se l’è trovato di fronte?
«Sono stato colpito dal fatto che avevo davanti un mafioso che, in maniera evidente, nei gesti e nel linguaggio, non rispecchiava per nulla lo stereotipo dello stragista irriducibile come eravamo abituati a immaginarlo. Pensavamo fosse simile agli altri boss catturati, come Riina e Provenzano, e invece no». 
 

In cosa era diverso? 
«Cercava di mostrarsi colto. Era evidente la ricerca di termini aulici: lo faceva in maniera ostinata, per volerci dare prova che non era un semplice mafioso solo con la licenza media».
 

Nel giardino della clinica per 50 minuti Messina Denaro è sparito: c’è stato un attimo in cui ha temuto che il frutto di tanto lavoro potesse andare a monte?
«Onestamente ho sempre creduto al buon esito dell’operazione. Ma certo sono stati dei momenti di fibrillazione quelli in cui abbiamo scoperto che l’uomo che si spacciava come Andrea Bonafede si era allontanato. Comunque avevamo pensato a ogni dettaglio, dall’intervento all’interno della struttura fino alla cinturazione esterna. Ero fiducioso».
 

Immaginava che uno dei criminali più ricercati del pianeta potesse vivere con spavalderia in un paese? 
«Non mi ha stupito e quanto abbiamo scoperto ci ha permesso di comprendere meglio ciò che è accaduto in passato». 
 

Vivere così è stata la sua forza o è stato l’errore fatale?
«A costringerlo a frequentare luoghi pubblici è stata la malattia, con la necessità di cure specialistiche. Per sopravvivere ed esercitare il potere mafioso, ha adottato accorgimenti utili a tutelare la latitanza».
 

Oltre agli investigatori, Messina Denaro lo cercavano anche i mafiosi: come mai nessuno l’ha mai tradito?
«Rappresentava un simbolo per “Cosa nostra”. L’ultimo dei corleonesi era punto di riferimento per l’organizzazione che vedeva in lui un esempio».
 

Quando ha capito che era davvero possibile catturarlo? C’è stato un momento specifico?
«Dalla fine del 2021 è stato un crescendo di acquisizioni investigative che ci hanno fatto arrivare al 6 dicembre 2022, con il ritrovamento dell’appunto in una gamba della sedia nella abitazione di Rosalia Messina Denaro. Abbiamo compreso di avere informazioni determinanti».
 

Ha mai pensato fosse morto? Neanche dopo quel pizzino che sembrava la sintesi della cartella clinica? 
«Mai. Se fosse morto avremmo registrato qualcosa dalle intercettazioni e poi i favoreggiatori lo avrebbero fatto trovare pronto per la tumulazione, come nel ‘98 per il padre Francesco».
 

Quanto c’è da far luce sul sistema di 30 anni di connivenze?
«La documentazione che abbiamo sequestrato dal 16 di gennaio in poi è preziosa».
 

Cosa non si aspettava di trovare nelle case in cui il latitante ha passato alcuni periodi della sua vita?
«Non mi aspettavo di trovare tutti quei libri che abbiamo invece rinvenuto e che evidentemente il boss ha letto negli ultimi anni. Mi ha sorpreso la complessità di alcune letture».
 

Il lavoro in corso ora, cioè l’indagine che serve a ricostruire rapporti, affari e connivenze, si può considerare il più difficile? 
«Messina Denaro ha usato molte precauzioni ed era solito celare l’identità dei suoi accoliti con nomi in codice sulla cui decifrazione stiamo lavorando».
 

Ora che è morto si aspetta che qualcuno possa uscire dal cono d’ombra perché non ha più paura? 
«Me lo auguro fortemente perché abbiamo bisogno della collaborazione di tutti per estirpare questo fenomeno dal territorio, prima che si radichi ancora di più in maniera silente».

Ultimo aggiornamento: 09:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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