Militari riservisti fuori dall'Esercito, l'altra "guerra": ricorso al Tar contro il licenziamento. Missioni Onu e "strade sicure", chi sono

Dopo anni di contratti a tempo determinato, con i 45 anni di età sono "costretti" a restare fuori: ma hanno famiglie e mutui. Il ricorso a un legale e al tribunale amministrativo

Venerdì 12 Gennaio 2024 di Michele Galvani
Militari riservisti fuori dall'Esercito, l'altra "guerra": ricorso al Tar contro il licenziamento

Un grande passato alle spalle ma senza certezze future. Si ritrovano così diversi riservisti militari italiani che, nonostante abbiano servito il Paese per anni, sono ormai fuori dall'Esercito e costretti dunque a fare ricorso al Tar.

Sono circa 10 quelli che si sono rivolti al Tribunale amministrativo, un migliaio in tutta Italia coloro che stanno per perdere il lavoro. Sono stati impegnati - per diverso tempo - in missioni importanti, da quelle estere con l'Onu alle "Strade sicure", ma sempre con contratti a tempo determinato. Ora, al 30 dicembre 2023 e compiuti i 45 anni di età, sono virtualmente fuori. Ma adesso sono pronti a combattere una "guerra" diversa, fatta di carte bollate, avvocati e tribunali.

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LE RICHIESTE Nel ricorso - presentato allla Sezione Prima Bis del Tar e con udienza fissata il 17 gennaio 2024 a Roma, il gruppo riservista chiede di «riconoscere in via principale per ciascuno dei ricorrenti lo status di pubblico impiego dipendente equiparato a quello dei graduati in servizio permanente effettivo e comunque a quello di pubblico dipendente militare appartenente all’ Esercito Italiano ( c.d. “ stabilizzazione”) con conseguente diritto al riconoscimento all’assunzione presso l’A.D (Amministrazione Difesa). quali lavoratori a tempo indeterminato ed immissione nei ruoli dei graduati di truppa in servizio permanente effettivo». Ancora: «La conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle differenze retributive rispetto alla corrispondente figura – per equivalenza delle funzioni svolte - dei graduati in servizio permanente effettivo, per ogni anni di servizio effettivo svolto nella qualità di “ riservista” dall’inizio del servizio sino all’attualità ed in permanenza, con corrispondente rivalutazione monetaria e scatti economici di anzianità in relazione ai diritti riconosciuti dalla clausola n.4 comma 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale di cui alla direttiva n.97/81 CE, nonché della clausola n. 4 co. 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato di cui alla direttiva n.1199/70/CE". Infine «si chiede il riconoscimento dei corrispondenti diritti di natura assistenziale e previdenziale». L'accusa è la «violazione del divieto di reiterazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato». In sostanza, uomini e donne in divisa, in questi anni hanno costruito famiglia, acceso mutui, mantenuto i figli potendo contare su un lavoro continuo. Oggi non è più così e temono il peggio: hanno paura.

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LE POSIZIONI Tutti i ricorrenti sono appartenenti alla "riserva di completamento” delle FF.AA. e, nello specifico, "dell’Esercito Italiano trattandosi di militari attualmente in servizio precario presso l’A.D. L’istituto della “riserva di completamento” previsto dal Codice dell’ordinamento militare ( C.O.M. o d.lgs. n. 66/2010) consente all’Amministrazione della Difesa di richiamare in servizio quei militari che abbiano già svolto, come nel caso in oggetto, il servizio quali militari in ferma prefissata ( VFP1 poi raffermatisi o VFP4)". I militari interessati, infatti, alla fine della ferma possono esprimere una loro «disponibilità al richiamo in servizio come volontari nelle forze di completamento. Per prassi dell’A.D. i richiami in servizio si sostanziano in periodi limitati a cinque/ sei mesi con possibilità di proroga nel tempo ( senza soluzione di continuità) attraverso ulteriori proposte di richiamo». Le posizioni di ognuno sono specificate nel ricorso presentato dall'avvocato Massimiliano Strampelli: si tratta di operatore informatico” e/o “fuciliere” e talora di “ operatore tramat” o “conduttore di mezzi”. Quasi tutti hanno iniziato il rapporto di lavoro nei primi anni 2000, con un numero di richiami che arriva fino a 11. «La vicenda - spiega Strampelli - descrive un abuso del diritto avendo il Ministero usato uno strumento al di fuori del perimetro legislativo. Ora confidiamo che il Tar sanzioni questo comportamento ponendo fine ad una manifesta discriminazione».

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