Alzheimer, esame del sangue lo prevede: test già disponibile sul mercato per diagnosi precoci e precise

Misura i livelli di proteina p-tau 217

Mercoledì 24 Gennaio 2024 di Maria Rita Montebelli
Alzheimer, esame del sangue lo prevede: test già disponibile sul mercato per diagnosi precoci e precise

Un nuovo esame del sangue potrebbe rivoluzionare la diagnosi precoce della malattia di Alzheimer, consentendo di individuarla ben prima della comparsa dei sintomi.

Il test, già disponibile sul mercato, misura i livelli di proteina p-tau 217 (biomarcatore per malattia di Alzheimer precoce) e, secondo gli autori di uno studio pubblicato su Jama Neurology, potrebbe essere utilizzato per lo screening della malattia nella popolazione over-50.

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Esame del sangue prevede l’Alzheimer

Se così fosse, sarebbe veramente l’uovo di Colombo perché la nuova generazione di farmaci anti-Alzheimer per funzionare al meglio va somministrata nella fase pre-clinica della malattia, quando è ancora asintomatica. Ma i test finora a disposizione erano o molto invasivi (in quanto effettuati sul liquor, ottenibile attraverso una puntura lombare) o, come nel caso di quelli di imaging (risonanza magnetica o PET), non adatti ad uno screening di popolazione, perché costosi e disponibili solo in pochi centri. 


Il test della p-tau 217, secondo gli autori dello studio, permettendo di rivelare l’Alzheimer in fase molto precoce, aprirebbe la strada ai nuovi farmaci, mirati a rallentare o a bloccare l’evoluzione di questa malattia neurodegenerativa. Prima, cioè, che il danno a carico del parenchima cerebrale si consolidi.

IL DOSAGGIO

Lo studio che incorona questo test come possibile esame di screening negli over 50 è stato condotto dall’Università di Göteborg (Svezia) su 786 persone con età media di 66 anni. I loro livelli di p-tau 217 sono risultati correlati al rischio di sviluppo di malattia di Alzheimer: più elevati i livelli nel sangue di questo biomarcatore, maggiore il rischio. In particolare, il dosaggio della proteina p-tau 217 nel sangue ha permesso di individuare la presenza della proteina beta-amiloide nel 96% dei casi e di livelli elevati di p-tau 217 nel 98% dei casi.

 
Secondo un altro studio dello University College di Londra, il nuovo esame del sangue sarebbe in grado di rivelare la presenza della malattia, fino a 15 anni prima della comparsa dei segnali. «Tutti gli ultra-50enni – afferma David Curtis, professore onorario dell’Istituto di Genetica dell’Università di londra – potrebbero essere sottoposti a screening per Alzheimer, ad intervalli di qualche anno, un po’ come si fa oggi per il colesterolo alto, per intercettare sul nascere la malattia e trattarli con i farmaci a disposizione e con quelli, si spera sempre più efficaci, che arriveranno nel prossimo futuro».


Il nuovo test sembra avere tutte le carte in regola per rivoluzionare la diagnosi precoce e la terapia tempestiva di questa malattia neuro-degenerativa, che riguarda almeno 600 mila italiani e coinvolge come caregiver milioni di familiari nella loro assistenza. Ma la prudenza è d’obbligo. 

LE VALIDAZIONI

«Sarà utile avere un esame che si può fare ovunque, ma che necessita di validazioni su numeri più ampi, in centri diversi, rappresentativi di varie realtà nazionali e territoriali e con un follow-up adeguato. È quindi una notizia positiva da prendere però con mille pinze sul piano applicativo» commenta Paolo Maria Rossini, direttore del dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele di Roma.
E in attesa di queste conferme, di pari importanza è preparare la strada all’arrivo dei nuovi test e delle nuove terapie. Purtroppo l’assistenza dell’Alzheimer è molto a macchia di leopardo sul territorio italiano e vede il Nord più pronto ad accogliere l’innovazione, rispetto ad altre aree del Paese.

Lo rivela la recente analisi dell’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità che ha evidenziato ampie differenze regionali relative alla distribuzione delle strutture dedicate (sono 543 in Italia i Centri per i disturbi cognitivi e demenze), agli orari di apertura (in media al Nord sono aperti 18 ore a settimana, contro le 11 del Sud), alle figure professionali impegnate, ai servizi disponibili e alle apparecchiature di diagnostica avanzata e alla presenza di un percorso diagnostico-terapeutico. «Le demenze sono un tema di salute pubblica molto importante – ha commentato Rocco Bellantone, Presidente dell’Istituto superiore di sanità - il cui impatto è destinato a crescere nel futuro, e che coinvolgono attualmente anche circa 4 milioni di familiari, oltre ai pazienti». 

L’UDITO

L’analisi dell’Iss ha stimato anche l’impatto di 11 fattori di rischio per demenza prevenibili. I più importanti sono ipertensione e inattività fisica. Seguono: deficit dell’udito, consumo di alcolici, obesità, fumo, depressione, isolamento sociale, diabete. «Intervenire su questi fattori – conclude Bellantone - consentirebbe di prevenire quasi il 40 per cento dei casi di demenza».

 

Ultimo aggiornamento: 25 Gennaio, 08:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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