Il primo reporter: strada cancellata,
bare scoperte e poche voci nella pietraia

Venerdì 13 Settembre 2013 di Carlo Mocci
Alpini trasportano una bara
LONGARONE - Sono in molti a raccontare di essere arrivati prestissimo a Longarone il 10 ottobre 1963; in realt i primi a raggiungere il luogo della tragedia, ancora col buio, furono Carlo Mocci, cronista dell’Ufficio di Cronaca di Pordenone (sarebbe diventato Redazione con l’istituzione della Provincia) e Aldo Missinato, foto reporter conosciutissimo, sacilese, figlio di un pittore di origine veneziana. Mocci, a lungo capo redattore al Gazzettino, è in pensione dal 1995. Le loro testimonianze non sono mai entrate in nessun libro rievocativo.



Il ricordo di quella notte a Longarone non mi ha mai lasciato. Alla stazione dei carabinieri di Sacile (Erto e Casso era una dipendenza) era arrivato in prima notte un disperato e unico messaggio “Il Toc frana… sta crollando la diga del Vajont”.



L’appuntato di turno, Ottorino Trento, era corso ad avvertire Aldo Missinato, foto-reporter in servizio permanente, che abitava a qualche centinaio di metri dalla caserma, e questi aveva svegliato il sottoscritto. Siamo partiti con la sua Anglia gialla la stessa notte per Longarone, via Ponte nelle Alpi. Non avevamo altre informazioni che quel disperato allarme e abbiamo preso quella strada senza precise ragioni. Sarebbe stato più logico salire a Erto, molto più vicino.



Già da distante il campanile, sicuro punto di riferimento, non si vedeva più. Qualche centinaio di metri prima del paese la strada era stata cancellata, abbiamo abbandonato l’auto e a piedi abbiamo attraversato il cimitero con le bare scoperte, poi la ferrovia coi binari contorti verso il cielo, infine abbiamo raggiunto il luogo dove fino a poche ore prima c'era Longarone. Ci ha accolto una nuda e deserta pietraia bianca. Poche persone, poche voci.

Con le prime luci ci siamo trovati con i rari superstiti. Quelli che abitavano più a monte, alle spalle del paese che non c’era più.



Abbiamo incontrato prestissimo Fiorello Zangrando allora collaboratore del Gazzettino da Belluno (nei decenni successivi sarebbe stato indimenticato redattore a Venezia), calato da un elicottero militare in mezzo alle pietre (non c’erano altri giornalisti, sono spuntati tutti dopo...)



Non sapevamo dove andare. C’era chi cercava, stordito e silenzioso, quelli che non c'erano più. Con le prime abbaglianti luci del mattino, siamo stati circondati dai soccorsi arrivati dalla pianura con interminabili file di automezzi. Dappertutto i morti, tantissimi. Tutti nudi, bianchi, senza sangue. Galleggiavano sul fiume, o erano contorti sui pochi tetti, o ancora rimasti intrappolati nelle cantine e perfino sugli alberi.



Aldo ha scattato una montagna di foto ma voleva riprendere la diga da vicino, da sotto. Ci siamo avvicinati, ma arrivati a un centinaio di metri ci hanno urlato da un elicottero che quel mostro di cemento poteva crollare da un momento all’altro, e siamo fuggiti correndo a perdifiato.



Seduto su un mucchio di pietre ho cercato di prendere degli appunti, ma una di esse spostandosi ha fatto uno strano rumore; abbiamo tolto un po’ di sassi, scoprendo una delle campane della chiesa. La sua foto è finita sulla prima pagina di un quotidiano nazionale. Un’altra, che ha fatto il giro del mondo, coglieva un vigile del fuoco che usciva dall’alveo del Piave con in braccio, come in una culla, il cadavere di un bambino. Questi sono gli appunti di quelle ore. Per sapere quanti erano esattamente gli abitanti di Longarone sono salito, appoggiando un palo alla finestra, al secondo piano del Municipio rimasto intatto.



Facevano impressione le scrivanie perfettamente allineate, con le macchine per scrivere nelle loro custodie. Nel librone degli aggiornamenti demografici, alla pagina del 9 ottobre, una cartolina mandata da un alpino. Poi altre visioni, pianti sommessi, le figure che vagavano senza meta. E gli alpini che portavano via i morti sulle barelle. Continuamente. Anche questi ragazzi in divisa erano sgomenti. Alcuni svenivano. Ci hanno dato una bottiglia di acqua senza neanche replicare al nostro grazie.



A tarda mattina i rullini li abbiamo portati direttamente a Venezia, a Ca' Faccanon, allora sede del giornale, da dove erano partiti (e li abbiamo incontrati per strada, il direttore Giuseppe Longo e un pugno di inviati). Lele De Polo, che se ben ricordo era il capo delle Province, mi ha messo alla macchina per scrivere nel suo ufficio per buttare giù qualche dicitura. Le mani mi tremavano.



Ricordo la stanchezza, le immagini di centinaia di morti. Quella stessa notte Aldo aveva ricevuto da casa la comunicazione che era diventato padre. E poi il drammatico incontro a Sacile di amici e parenti originari di Longarone per avere notizie. Non sapevamo cosa dire se non scuotere la testa. Missinato subito aveva allestito un ampio album murale fuori del suo studio in via Garibaldi: le prime testimonianze della tragedia.



Tutto questo in una tiepida giornata di ottobre. Dopo non ho mangiato carne per sei mesi, e ancora adesso, quando passo per Longarone, non riesco a guardare verso la diga e il Vajont.
Ultimo aggiornamento: 17 Settembre, 12:23