Dallas funziona, Atene no: la tragedia
tra la Storia e la squallida cronaca

Lunedì 2 Settembre 2013 di Adriano De Grandis
Il protagonista di Kaze Tachinu
VENEZIA - Anche ieri tre film in concorso. Due si aprono con la morte di qualcuno: il primo un uomo pubblico famosissimo, il secondo una bambina di 11 anni nel giorno del suo compleanno; il primo un omicidio per la Storia, il secondo un suicidio per se stessi.



"Parkland" è l’ospedale di Dallas che ha raccolto in fin di vita il presidente americano John Fitzgerald Kennedy, nel novembre 1963, subito dopo l’attentato. L’esordiente Peter Landesman, ex giornalista di guerra, si riallaccia all’idea di Emilio Estevez, che raccontò in "Bobby" l’attentato mortale a Robert Kennedy, seguendo i personaggi laterali di quell’evento dentro l’hotel che ospitava il candidato alla presidenza. Come Estevez, Landesman elegge un "luogo" a protagonista principale, allontanandosi, per quanto possibile, dalla Storia e immergendosi nella cronaca convulsa di quei giorni, compreso l’arresto e l’uccisione di Lee Oswald. Sorretto da un ritmo incalzante e, a parte l’inadatto Zac Efron, da un gruppo di attori perfetti (su tutti Giamatti, che esalta l’agitazione di chi accidentalmente girò il filmino dell’attentato), "Parkland" riversa tutto il suo interesse nella sfera intimistica dei protagonisti, con alcuni momenti significativi come il tentativo di salvare il presidente (un lunghissimo, forsennato segmento in sala operatoria da puro horror), il caricamento della bara nell’Air Force One e il funerale di Lee Oswald, che sanno toccare corde commoventi. In mezzo scorre un materiale cronachistico risaputo che se rende meno necessario il film, ricodifica la dimensione politica della tragedia.



Se qualcuno ha ancora qualche dubbio sulla degenerazione della famiglia come asse portante della nostra società, potrebbe ricredersi definitivamente guardando "Miss Violence" del greco Alexandros Avranas, un’ora e mezza in cui un orrido nonno, che sa mostrare all’esterno la sua faccia zuccherosa, diventa un orco tra le mura domestiche, usando il proprio potere su un nucleo di 5 donne (una moglie, due figlie e due nipotine) e un bambino. Proprio una delle due nipotine, nel giorno del suo undicesimo compleanno mentre in salotto si taglia la torta, salta giù dal balcone e si sfracella al suolo. Girato con una luce opaca dalle tinte smorte, in una chiave minimalista, il dramma si consuma con chirurgica devozione all’eccesso (specie nell’insistita scena dello stupro a tre nel finale) e all’orrore, più vicina a un Seidl che a un Haneke, per intenderci, in un’escalation di violenza e crudezza, che da un lato serve a rendere atroce la vicenda, ma dall’altro rischia di sgonfiare l’empatia dello spettatore, fin troppo bombardato da comportamenti (donne comprese, che non riescono a ribellarsi) esasperati, come in un film a tesi. Resta un film dannatamente squallido, grazie anche all’ottima aderenza attoriale.



Di certo si respira aria più fresca nell’ultimo (ma proprio l’ultimo, visto l’annuncio di ieri) lavoro d’animazione del giapponese Miyazaki, come sempre tecnicamente sbalorditivo. Tuttavia "Kaze tachinu" (Il vento si alza) non aggiunge niente alla risaputa e premiata poetica del maestro (Leone d’oro alla carriera nel 2005). Qui un giovane aspirante ingegnere aeronautico spera di seguire le orme del maestro italiano Caproni nel progettare aerei sempre più veloci e perfetti, ben sapendo comunque che questi potrebbero essere utilizzati per portare bombe e morte in guerra (da qui alcune polemiche attorno al film). Conosciuta una ragazza, puntualmente malata di tbc, il giovane Jiro trova in lei una musa ispiratrice, coronando il sogno nel momento più drammatico della compagna. Ci sono pagine bellissime, per lo più quelle surreali, come la sequenza del terremoto, e l’incanto visivo resta sempre assicurato. Tuttavia due ore sono troppe e ci si annoia nella forse petulante descrizione dei progetti.
Ultimo aggiornamento: 10:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA