TREVISO - (g.p.) Cinque ore di processo per ascoltare la versione della parte offesa e poco altro. Poi il giudice Michele Vitale ha aggiornato l'udienza nella quale Stefano Conte, vigile urbano di Treviso, difeso dall'avvocato Stefano Pietrobon, è accusato di aver abusato della propria divisiva per perquisire illegalmente un automobilista trevigiano (accusato di disobbedienza a un ordine dell'autorità) che, assistito dall'avvocato Paolo Iadanza, si è costituito parte parte chiedendo il risarcimento del danno. In verità l'agente avrebbe messo sul piatto 2500 euro per convincere l'automobilista a ritirare la querela. Troppo pochi. «Vogliamo giustizia - ha chiarito l'avvocato Iadanza - ma saremmo anche disposti ritirare la denuncia». Ma un "mercato delle vacche" mai. Filtra dalla parte civile che, con il ritiro della querela, farebbe sciogliere come neve al sole almeno una delle accuse mosse al vigile. Al centro del caso, secondo la ricostruzione del pm Valeria Sanzari, una multa per transito in zona vietata, che sarebbe stato seguito da una perquisizione abusiva. L'agente municipale è però certo di dimostrare la propria innocenza. Ci sarebbero alcuni testimoni che, nella prossima udienza, dovrebbero confermare che Conte agì in modo corretto. «Fu un controllo - la tesi difensiva - non una perquisizione». Secondo l'accusa a marzo 2013 Conte notò un'auto passare in zona vietata vicino allo stadio di Monigo. La fermò e ne nacque una discussione col conducente, che rifiuto di mostrare la patente. Il vigile chiamò così i carabinieri, ma poi senza spettarli - secondo l'accusa - sarebbe passato all'azione "in modo aggressivo" per farsi consegnare i documenti. Non solo. L'avrebbe anche perquisito senza autorizzazione.
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