Nessun ricatto, solo la condivisione in buona fede con un amico di alcuni audio e messaggi scambiati con Raoul Bova. È questa la versione data da Martina Ceretti agli investigatori che l'hanno ascoltata. La modella di 23 anni, coinvolta nella vicenda degli audio privati dell'attore e a cui è stato sequestrato il telefono, avrebbe spiegato di aver condiviso in buona fede con il suo amico Federico Monzino - il 29enne pr milanese - alcuni audio e chat delle conversazioni avute con l'attore, ma senza alcun secondo fine.
La teoria degli investigatori
Gli investigatori della capitale ipotizzano che Federico Monzino potrebbe aver inviato i presunti messaggi ricattatori a Bova. Ma la versione dell’imprenditore è ben diversa. «Martina voleva diventare famosa con le chat, all’inizio», ha detto Monzino a Repubblica, «ma quando ci siamo resi conto di dove stavamo andando a finire, abbiamo cercato di bloccare tutto.
Il ruolo di Fabrizio Corona
Gli inquirenti, oltre a Ceretti, hanno ascoltato anche Monzino e Fabrizio Corona, che entrato in possesso degli audio li ha pubblicati nel suo podcast. Secondo Corona i file sarebbero arrivati direttamente da Monzino e dalla stessa Martina Ceretti, senza alcuna “acquisizione illecita”. Lo scopo iniziale? «Far diventare famosa Martina», ha dichiarato l’ex re dei paparazzi, aggiungendo che la richiesta di denaro sarebbe arrivata dopo, a loro insaputa. Gli investigatori però non escludono altre ipotesi. I contenuti sono stati davvero condivisi volontariamente dalla ragazza o le sono stati sottratti? Il suo smartphone è stato sequestrato, così come quello di Monzino e di Corona. Le indagini sui tabulati telefonici potrebbero fare luce su un possibile giro più ampio, con altri nomi coinvolti e ruoli da chiarire.
«Sul web voyeurismo di bassa lega»
«Le azioni compiute, su cui gli inquirenti stanno indagando, hanno attivato il web in maniera illecita e inaccettabile, dove si continua a diffondere in maniera incontrollata materiale la cui natura va ancora accertata. Si è attivata una macchina infernale che non guarda in faccia a nessuno, né alle persone né ai loro figli, che non hanno tutti gli strumenti per discernere la cronaca dalla cattiveria o dal voyeurismo di bassa lega. Tutto ciò fa riflettere sui meccanismi collegati al mondo del web e dei social media che sembrano essere il nuovo il far west», ha commentato all'Ansa David Leggi, legale di Raoul Bova.