Delitto di Serena, il pool della difesa: «Evitate di fare appello, trovate l'assassino»

Mercoledì 8 Febbraio 2023 di Vincenzo Caramadre
Delitto di Serena, il pool della difesa: «Evitate di fare appello, trovate l'assassino»


«Indagate altrove per trovare l'assassino di Serena Mollicone». E' questo il messaggio-appello che arriva all'indomani del deposito delle motivazioni della sentenza con la quale il 15 luglio scorso sono stati assolti Franco, Marco, Anna Maria Mottola e i due carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. Ieri mattina c'è stata una conferenza stampa al palazzo della cultura di Cassino del pool della difesa Mottola (avvocati Francesco Germani, Mauro Marsella, Enrico Meta e il portavoce Carmelo Lavorino). Assente la famiglia Mottola. «Vogliono stare tranquilli, semplicemente non amano stare sotto i riflettori», ha spiegato in apertura il criminologo Lavorino.
«Questo incontro con la stampa è stato indetto per spiegare che nella sentenza sono stati accolti tutti gli elementi del pool di difesa: la porta non è l'arma del delitto, Tuzi è inattendibile e il maresciallo Mottola non ha commesso depistaggi», ha spiegato il criminologo.

Chiaro è stato poi il messaggio alla procura: «Non si perda altro tempo, si eviti l'appello si vada oltre la famiglia Mottola e ci si metta a lavoro per trovare l'assassino».

IL DNA
Ma perché indagare oltre, dopo 22 anni dall'omicidio, e non appellare la sentenza? «Ci sono - è stato spiegato dal pool - tracce scientifiche riconducibili a terze persone rimaste ignote, occorre un'analisi criminalistica per dare un nome e un volto, ammesso che sia ancora in vita, a colui il quale ha lasciato quelle tracce». Anche nelle motivazioni della sentenza (a pagina 231), si richiamano le impronte digitali e un dna, trovato sul nastro che bloccavano le mani e le gambe di Serena. Sono le tracce dattiloscopiche (impronte digitali), rinominate 15A, 15B e 18A, da una delle quali è stato anche estratto un profilo genetico misto.

IL LUOGO DELL'OMICIDIO
«Oltre ad affermare che la porta non è l'arma del delitto, la corte ha detto chiaramente che Serena Mollicone non è mai entrata in caserma», ha spiegato l'avvocato Germani. A questo aspetto è stato collegato poi l'elemento fondamentale del processo: la rivelazione choc di Tuzi sull'ingresso della ragazza in caserma la mattina del primo giugno 2001. «Tuzi - ha detto l'avvocato Marsella - non ha mai affermato di aver visto entrata Serena in caserma, se le sue dichiarazioni fossero state interpretate nella giusta direzione questo processo non sarebbe mai nato. Ma sono felice, con questa sentenza è stata riaffermata la certezza del diritto e il principio dello stato di diritto pilastro della nostra civiltà giuridica. Sono 14 anni che le indagini ruotano intorno alla famiglia Mottola, ora, con questa sentenza, non crediamo che ci siano i margini per l'appello». L'avvocato Meta ha invece spiegato come «le risultanze giuridiche siano state inquadrate nell'ambito dell'assoluzione per insufficienza di prove. Leggendo la sentenza - ha aggiunto - si comprende, però, come sono più gli elementi a discarico per gli imputati che gli indizi nei loro confronti, su tutti mancano tracce scientifiche (dna e impronte) riconducibili alla famiglia Mottola». Francesco Germani, legale storico dell'ex maresciallo Mottola ha rivolto un invito: «Riabilitate il maresciallo, per tutti questi anni è stato dipinto come un infingardo, un traditore della divisa che ha indossato. La sentenza rende onore a lui, alla divisa e all'Arma dei carabinieri perché Serena non è mai entrata in quella caserma», ha concluso.

Ultimo aggiornamento: 08:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA