Bufera su Trump per il ritiro dalla Siria, il capo del Pentagono si dimette

Venerdì 21 Dicembre 2018
Bufera su Trump per il ritoro dalla Siria, il capo del Pentagono si dimette
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«Gli Stati Uniti non vogliono essere il poliziotto del Medio Oriente. Ora tocca agli altri combattere». Donald Trump non arretra di un millimetro il giorno dopo l'annuncio a sorpresa del ritiro immediato delle truppe Usa dalla Siria, circa duemila soldati che dovranno tornare a casa entro 30 giorni. Una mossa che scatena l'ennesima bufera su Trump perché si tratta di una decisione presa contro tutto e tutti. Dimostra chiaramente la sua opposizione il capo del Pentagono Jim Mattis, che lascia l'amministrazione: nella lettera di dimissioni, il capo delle Pentagono cita divergenze con il presidente nei rapporti con gli alleati e osserva come Trump meriti un segretario alla Difesa con idee in linea con le sue. Mattis invece, nelle ultime settimane, aveva idee in netta contrapposizione con Trump, dal dispiegamento di forze armate al confine con il Messico al ritiro dalla Siria.

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Secondo indiscrezioni, 'Mat Dog' è stato colto alla sprovvista dall'annuncio: una decisione quella di abbandonare la Siria della quale era all'oscuro.

Mattis non sarebbe stato informato neanche sulle valutazioni in corso per ridurre la presenza americana in Afghanistan. L'uscita di Mattis lascia l'ennesimo pesante vuoto all'interno dell'amministrazione e provoca nuove critiche a Trump che, annunciando la sua uscita su Twitter, aveva parlato di pensionamento per Mattis e non di dimissioni. Intorno al ritiro dalla Siria l'attenzione è elevata a livello mondiale. Mentre dalla capitali alleate arrivano a Washington decine di telefonate per capire cosa stia succedendo, solo Vladimir Putin plaude alla decisione: «Donald ha ragione, ha fatto bene», sentenzia lo zar del Cremlino, che da sempre parla di presenza «illegale» degli Usa in Siria.
 


E già pregusta i vantaggi di una Russia che avrà mani libere nella regione, così come l'Iran e come la Turchia, pronta a una nuova offensiva sulle milizie curde da quattro anni armate ed addestrate dagli americani, ed ora di fatto abbandonate al loro destino. Sullo sfondo il pericolo che l'Isis, marginalizzato in un'area al confine con l'Iraq, possa rialzare la testa, nonostante Trump canti vittoria. Una vittoria che per molti è ancora lontana dall'essere definitiva. È proprio quest'ultimo il peggior timore di chi nelle ultime ore continua disperatamente a pressare per un ripensamento del tycoon: al Pentagono, dove si parla di «errore colossale», e all'interno della stessa Casa Bianca, dove il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton giorni fa aveva indicato una strada ben diversa sulla questione siriana. Intanto Benyamin Netanyahu ha assicurato che Israele «continuerà ad agire con forza contro i tentativi dell'Iran di arroccarsi in Siria»: «Intensificheremo gli sforzi e so che lo faremo con il pieno sostegno e appoggio degli Usa», ha affermato. Mentre al Congresso si alza un coro bipartisan per chiedere al presidente un chiarimento, soprattutto sulla strategia complessiva dietro la sua decisione.

Con molti osservatori che mettono in evidenza come la posizione assunta da Trump sia paradossalmente molto simile all'atteggiamento di Barack Obama sulla politica da seguire in Medio Oriente, una visione secondo cui non è compito degli Usa interferire negli affari della regione. Solo che allora Obama, che pose fine all'avventura in Iraq, sulla Siria ascoltò invece chi predicava cautela. Oggi a Washington dopo la Siria già si valuta l'addio all'Afghanistan.

Ultimo aggiornamento: 10:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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