Guerra Medio Oriente, perché c'è un rischio di escalation: chi può mediare e trovare una soluzione dopo due settimane di conflitto

Cosa è successo i due settimane di guerra e cosa può succedere

Domenica 22 Ottobre 2023
Guerra Medio oriente, perché c'è un rischio di escalation: chi può mediare e trovare una soluzione

Sono passate due settimane dall'inizio della guerra tra Hamas e Israele.

Si teme un'escalation, cioè che la guerra contagi altri Paesi vicini o alleati internazionali degli attori in campo. Altri Paesi infatti hanno, o possono avere, un ruolo fondamentale nell'esplorare potenziali soluzioni alla crisi ma anche nel peggiorarla. Il presidente Usa Joe Biden ha espresso solidarietà con Israele e ha contribuito alla crescente percezione che la politica israelo-palestinese degli Stati Uniti sia unilaterale, solo dalla parte di Israele. In realtà Biden parla spesso anche dei «palestinesi innocenti che vogliono solo vivere in pace» e proprio oggi ha annunciato l'ottenimento di un accordo per la prima spedizione di assistenza umanitaria destinata ai civili a Gaza. Nella sua visita a Israele ha lanciato un monito: «Non fate gli errori che negli Stati Uniti abbiamo commesso dopo l'11 settembre»

Come si sono schierate Russia e Cina sull'attacco del 7 ottobre?

La Russia si è astenuta dal condannare Hamas, fatto che sembra indicare una battuta d'arresto nelle relazioni bilaterali con Israele, tradizionalmente buone. La Cina ha chiesto una soluzione negoziata del conflitto che parta da un cessate il fuoco per arrivare alla costituzione di uno Stato palestinese. Per Mosca e Pechino la guerra in Medio Oriente è un'ottima occasione per criticare le politiche degli Stati Uniti e posizionarsi contro l'Occidente. È evidente come i due Paesi lavorino per conquistare ulteriori simpatie nel mondo arabo. 

Il rischio di un conflitto più ampio

Tutta la regione si sta preparando per un conflitto più ampio. Il rischio concreto è che il conflitto tra Israele e Hamas coinvolga il gruppo libanese di Hezbollah e, per estensione, l'Iran. L'attacco del 7 ottobre ha complicato moltissimo la situazione che non sembrava così esplosiva: c'era stata una distensione dei rapporti tra l'Arabia Saudita e l'Iran, e si era assistito a una crescente normalizzazione delle relazioni tra Israele con i principali stati arabi (Accordi di Abramo). In mezzo c'è sempre stata (sopita, tralasciata, accantonata) la questione palestinese che è emersa in modo dirompente due settimane fa con gli attacchi brutali di Hamas. 

L'opinione pubblica araba


Le accuse incrociate tra Israele e Hamas sul bombardamento dell'ospedale Al-Ahli Arabi a Gaza il 17 ottobre ha provocato una serie di reazioni a catena: ci sono state proteste di massa in tutti i paesi arabi e un rifiuto da parte dei leader della Giordania, Egitto, Palestina a incontrare il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Il mondo arabo è preoccupato per quella che reputa una brutale campagna di annientamento contro i palestinesi e per le evacuazioni dei palestinesi nel sud della Striscia nel tentativo, temono, di non farli mai più tornare. Nel frattempo i varchi per uscire da Gaza sono chiusi: L'Egitto si rifiuta di aprire i suoi confini ai rifugiati e la Giordania dice che considererà ogni tentativo di spostare i palestinesi come una dichiarazione di guerra.

Migliaia di giordani di nuovo in piazza contro bombardamenti su Gaza

Cosa succede al Nord: il fronte con il Libano

Nel Libano le forze di Hezbollah sostenute dall'Iran sono impegnate in continue schermaglie con Israele tra attacchi trasfrontalieri, esplosioni e lanci di razzi. Anche qui, dunque, sussiste un rischio di escalation perché Hezbollah ha avvertito che si unirà alla guerra se Israele lancerà un'operazione via terra terra a Gaza. In Libano ci sono i caschi blu dell'Onu, tra cui un migliaio di soldati italiani.

L'Iran 

L'Iran potrebbe arruolare milizie armate in Iraq e Siria per attaccare gli Stati Uniti, come basi militari regionali, in un ciclo che assicurerebbe un'escalation incontrollata in Medio Oriente. Gli americani hanno schierato due portaerei nel Mediterraneo orientale. Ci sono già segnalazioni di nuovi attacchi con droni da parte di gruppi iraniani sulle basi statunitensi in Iraq e Siria, e gli Stati Uniti hanno riferito giovedì di aver intercettato missili lanciati dal movimento Houthi alleato iraniano nello Yemen. Oggi sono stati presi di mira gli scali di Aleppo e Damasco, ed è il secondo attacco in 10 giorni. Razzi Katyusha sono stati lanciati, invece, contro la base aerea militare irachena di Ain al-Asad in cui sono presenti militari americani e di altri Paesi. 

 

Le monarchie del Golfo

Nessuno ha simpatia per Hamas ma in questo momento o Paesi del Golfo non possono più aggirare la questione palestinese. L'Arabia Saudita vuole evitare qualsiasi escalation che possa influenzare la loro stabilità politica, così come i loro interessi economici e di sicurezza. Hanno chiesto un cessate il fuoco immediato e hanno aperto al amssimo i propri canali diplomatici. Il Qatar accoglie i leader politici di Hamas e insieme all'Egitto, ha cercato di mediare il rilascio degli ostaggi civili detenuti da Hamas in cambio di afflussi umanitari a Gaza. Anche gli Emirati Arabi Uniti sono stati attivi, impegnandosi con Israele, Siria e Iran per chiedere che le tensioni si abbassino. Infine, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha parlato con il presidente iraniano Ebrahim Raisi per la prima volta dal ripristino dei rapporti diplomatici a marzo.

Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 09:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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