La sequenza è più o meno questa. Ci si candida al concorso, si studia, ci si presenta il giorno degli esami e, se va bene, si finisce in una posizione in graduatoria che dà diritto al posto. Fisso in questo caso, perché i concorsi di cui parliamo sono quelli pubblici. Finita questa trafila l’amministrazione che ha messo a bando il posto manda una lettera e indica il giorno in cui bisognerà presentarsi per firmare il contratto di assunzione e prendere servizio. Ebbene, sempre più candidati arrivati al fatidico momento di mettere la sigla in calce all’assunzione a tempo indeterminato nella Pubblica amministrazione, si tirano indietro.
Il ministero dell’Istruzione aveva bandito un concorso unico per 159 posti. È riuscito ad assumere soltanto 110 persone dopo aver scorso le graduatorie perché, spiega nel suo piano dei fabbisogni, un vincitore su tre ha rinunciato all’assunzione.
IL GRIDO D’ALLARME
Qualche settimana fa un grido di allarme era arrivato dal ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini. Anche lui aveva dovuto prendere atto di un clamoroso flop del concorso per assumere giovani nelle Motorizzazioni civili. «Le assunzioni recenti», aveva spiegato il ministro in audizione alla Camera, «sono andate in parte deserte, in particolare al Nord». Una quota consistente, aveva aggiunto Giovannini, «ha rinunciato, a meno che non gli fosse stata indicata una sede al Sud». C’è sicuramente un tema di retribuzioni. La Pubblica amministrazione ha difficoltà a reperire soprattutto i profili più specializzati che oggi sono molto richiesti dal mercato disposto ad offrire salari più alti. Ma basta questo a spiegare la fuga dal pubblico impiego? «Bassi salari e scarse prospettive di carriera», spiega Marco Carlomagno, segretario generale di Flp, «spingono i laureati a rinunciare a un impiego sicuro nella pubblica amministrazione». Il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, insieme al giuslavorista Michele Tiraboschi, ha pubblicato uno studio dove la questione è analizzata in profondità. La difficoltà di reperire dipendenti, è la conclusione del paper, riguarda soprattutto i profili più specializzati. «Accanto a salari dignitosi», spiegano Brunetta e Tiraboschi, «contano percorsi di carriera chiari e definiti, la presenza di momenti di formazione altamente qualificati, spazio per strumenti di conciliazione vita lavoro, veri sistemi premiali sulla base delle performance: tutte azioni», ricordano, «previste dalla riforma in corso e in larga parte già attuate».
Secondo Bruno Giordano, direttore dell’Inl, a pesare è anche «la concomitanza di molti concorsi pubblici. Le graduatorie», spiega, «sono gonfiate da candidati che sono risultati vincitori in più selezioni e questo gli consente di scegliere il posto meglio retribuito e più vicino alla propria residenza». Una questione analizzata anche nel paper di Brunetta e Tiraboschi. Il rapporto ricorda come nella seconda parte del 2021 siano stati avviati concorsi per oltre 45.000 posti di lavoro a cui ha partecipato circa 1 milione e mezzo di candidati provenienti da tutto il territorio nazionale. Secondo i dati elaborati da Formez PA, per i concorsi gestiti direttamente dall’associazione, il 63,9% dei candidati erano residenti nelle regioni del Sud e nelle Isole, il 24,1% nel Centro e solo l’11,5% nel Nord.
Per la gran parte dei candidati, spiega il paper, dunque, non siamo di fronte a giovani neolaureati in cerca di prima occupazione, ma a persone appartenenti a una fascia di età in cui alcune scelte private e sociali sono già avvenute. Difficile che possa decidere di spostarsi al Nord. Anche per un posto fisso.