Violante Placido: «Papà non voleva che facessi l'attrice. Ritocchini? Se vedessi crolli precoci interverrei subito»

L’artista romana: «Mio padre quando venne a saperlo disse solo: “Dio mio...”»

Domenica 8 Ottobre 2023 di Andrea Scarpa
Violante Placido: «Attrice? Papà non voleva ma grazie a Sergio Rubini ho trovato la mia strada. Ritocchini? Se vedessi crolli, interverrei subito»

George Orwell, Moana e i guru indiani. E poi Sanremo, i pappagalli e i ritocchini. Con Violante Placido si parla di tutto, al telefono il tempo vola, e poi - se qualcosa le è sfuggito - scrive, richiama e riparte. Il 12 ottobre a Roma presenterà con Corrado Augias e Claudio Amendola il podcast che hanno realizzato per ricordare gli 80 anni dal tragico rastrellamento del 16 ottobre 1943 nel Ghetto capitolino.

Il 16 novembre uscirà il film Improvvisamente a Natale mi sposo (seguito di Improvvisamente Natale) di Francesco Patierno, con Diego Abatantuono, Nino Frassica, Lodo Guenzi e Carol Alt. E tre giorni dopo, il 19, sempre a Roma, sarà al Teatro Ciak con 1984 di Orwell, con Giancarlo Commare e Ninni Bruschetta.

A 47 anni, giustamente, fa di tutto.
«Non parliamo d’età, per favore. Non mi piace. Questi numeri condizionano e allontanano da quello che uno realmente è. Non bisogna pensarci per non porsi dei limiti».

Addirittura? E ora senza limiti dove si sta spingendo?
«In teatro. Sto per cominciare le prove di 1984 di Orwell: sono contenta perché finora ho fatto pochissimo teatro».

Perché?
«Per paura. Nel 2001 e 2003 ho fatto due esperienze (Bash. Latterday play di Neil LaBute e Un ducato rosso sangue di Sabina Negri, ndr) che ho vissuto come un incubo. Avevo grande difficoltà a gestire l’emotività. Roba da attacchi di panico. Mi sono sbloccata solo nel 2017».

 

Che cosa era cambiato?
«Tutto. Mi sono calmata. E, più sicura di me, ho trovato compagni di viaggio fantastici come Giorgio Pasotti, Stefano Fresi, Paolo Ruffini. Lo spettacolo era Sogno di una notte di mezza estate diretto da Max Bruno. Da allora il teatro è casa mia».

Lei recita e canta - ha inciso due album - ma cosa le viene meglio?
«Ascoltarmi. Accettare le sfide. Cercare di essere coraggiosa per uscire dalla comfort zone. Solo così provo a crescere e a non cadere nel cliché di me stessa».

Trappola frequente per chi fa il suo lavoro.
«Esatto. Ma a volte sono stata anche incosciente. Con la musica ero frenata da un pudore immenso, prima di ogni esibizione mi veniva la tachicardia. Mi sentivo fuori luogo. Ma non potevo farne a meno così, dopo il primo disco, me ne sono fregata e mi sono buttata. Ora mi fido più di me che del giudizio degli altri. Per me è stata una grande conquista».

E quando si è liberata del marchio di “figlia di”?
«Da tempo. Ma per anni tanta gente cercava di farmi sentire solo una che non meritava il consenso perché ero già nata fortunata. Assurdo. Non dovevo cercare di realizzarmi? Tra l’altro mio padre neanche voleva che facessi l’attrice. Quando lo venne a sapere commentò: “Dio mio...”. E quando vide le mie prime cose diciamo che fu molto tirato con le parole».

Nel 2014 andò a Sanremo come ospite dei Perturbazione nella serata dei duetti: ha mai provato ad andare in gara?
«Sì. Qualche anno fa, e non mi hanno presa. Ma non mollo: sono al lavoro su nuovi brani».

Con chi lo farebbe un disco?
«Motta (marito di Carolina Crescentini, ndr)».

Nel podcast sul rastrellamento del Ghetto parla in romanesco: è la prima volta che lo fa?
«Sì. Sembro una straniera, ma sono romana, nata e cresciuta qui. Lavorare a questo progetto è stato emozionante. Soprattutto in questo momento così buio. Mio figlio Vasco ha 10 anni...».

L’ha chiamato così per Vasco Rossi o Vasco da Gama?
«Da Gama. Pensando a lui mi chiedo in che società crescerà, sta succedendo di tutto». 

Facendo il suo lavoro si possono veicolare anche messaggi importanti?
«Sì, ma senza essere portavoce di niente e nessuno. Scegliendo di recitare Orwell e di affrontare la Shoah, io lo faccio. Non riesco a restare indifferente e, se serve, le condizioni per fare quello che mi interessa provo a crearle io stessa. Senza aspettare».

Che bilancio fa della sua carriera? Poteva andare meglio?
«Sì, ma non mi lamento. Detesto farlo. Alcune cose hanno avuto grande successo, ma non hanno portato occasioni altrettanto importanti».

Si riferisce a “Moana”?
«Certo. Quel progetto andò benissimo, ma non mi regalò i frutti che speravo». 

Cosa non funzionò?
«Non lo so. Tra l’altro, da allora, sono stati prodotti progetti sempre più interessanti che avrei volentieri accettato».

Finora è la torta che le è venuta meglio?
«Sono contenta anche di Questo è il mio paese di Michele Soavi, trasmesso da Rai1. Funzionò, ma non ci fu seguito. Sono fortunata, ma non sono fra quelle che hanno raccolto di più».

La sua ossessione qual è?
«Cerco sempre di non cadere in qualcosa di artefatto. E di non essere spettatrice di me stessa. Sono cresciuta spesso in solitudine, mi psicanalizzo continuamente e punto a evolvere».

Mai stata dall’analista?
«Sì, per un periodo. Ma ho anche letto tanto, ho fatto meditazione, ho viaggiato: ho seguito dei guru indiani...».

È stata in qualche ashram, uno di quei centri dove si vive e si medita?
«Sì, nel 2008 ho fatto esperienze incredibili. Ho attraversato l’India da Mumbai a Pune con un taxi senza targa. Ero sola, temevo mi buttassero giù dall’auto per rubarmi tutto. E fra i tanti, sono stata anche dagli arancioni di Osho...».

Quelli delle foto del nostro Osho-Federico Palmaroli?
«Sì. E hanno anche provato a trattenermi. Comunque se all’andata ero spaventata, al ritorno ero in pace con il mondo. Ai viaggi devo tanto. Mi hanno arricchita».

E un po’ di gratitudine, esclusi i parenti, la deve a qualcuno?
«A Sergio Rubini. Quando nel 1997 lui fece il primo film da regista, Il viaggio della sposa, mi fece un provino per il ruolo che poi andò a Giovanna Mezzogiorno. Avevo 22 anni e mi disse che ero acerba. Per reazione andai per tre mesi in America a studiare recitazione. Anni dopo, nel 2003, andai a un altro provino di Sergio, che stava scegliendo il cast per Anima gemella. Mi prese. Per me fu importante. Fui anche candidata per il Nastro d’argento. Ero cresciuta davvero».

Nel 2018 ha interpretato il video “Solo” è solo una parola: che ne pensa della maternità surrogata?
«Sono per velocizzare l’iter burocratico per adottare. Ci sono milioni di orfani in giro per il mondo».

Tutto e subito cosa vorrebbe?
«Finire il terzo album. E un bel film con un ruolo massiccio».

Tante attrici italiane - le ultime Micaela Ramazzotti, Margherita Buy, Kasia Smutniak - hanno debuttato o stanno per farlo come registe: e lei?
«Non è nei miei progetti».

È vero che online guarda i video dei pappagalli?
«Ho avuto la fissa per i pappagalli, sì. Sono molto intelligenti e mi divertivo tantissimo a guardare i filmati dove parlavano dicendo di tutto...».

Ne ha preso uno in casa?
«No, sono troppo impegnativi. Ma forse da vecchia andrò in giro con un pappagallo sulla spalla. Per ora ne sono uscita... (ride)».

Senta, invecchiare la spaventa?
«Ci lavoro con il mio aspetto, quindi...».

È già intervenuta?
«No, ma se dovessi vedere crolli precoci, interverrei subito. Oggi si può fare tanto e bene».

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