Roberto Vecchioni si commuove parlando del figlio morto: «Lo penso tutte le notti, il mondo non si è meritato uno come lui»

«Arrigo è il mio dolce inverno, è un inverno con la neve che sta su, ma sotto la neve c'è sempre qualcosa, no? L'erba continua a crescere, la vita è eterna, è meravigliosa. Nessuno se ne va»

Lunedì 26 Febbraio 2024
Roberto Vecchioni si commuove parlando del figlio morto: «Lo penso tutte le notti, il mondo non si è meritato uno come lui»

Roberto Vecchioni si commuove in diretta parlando di suo figlio Arrigo, morto ad aprile 2023 all'età di 36 anni. Ospite della trasmissione "In altre parole" su La7, il "professore" ha parlato con Massimo Gramellini della sua vita, dall'infanzia ai giorni nostri, soffermandosi in particolare sul rapporto con i suoi quattro figli.

Inevitabile un passaggio su Arrigo: «Guardate che belli che sono - dice Vecchioni trattenendo a stento le lacrime -. Sono tutti e quattro vivi, anche se uno non c'è più».

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Vecchioni si commuove ricordando suo figlio Arrigo

Il cantautore ha aggiunto: «Qui non facciamo televisione del pianto e del rimorso, lasciamola agli altri, che non me ne frega niente di quelle cose. Dico cose serie, vere. Questo meraviglioso ragazzo, che è veramente un meraviglioso ragazzo, è un poeta straordinario. Però c'è stato un problema, che il mondo non si meritava uno bello come lui, se lo doveva meritare. Non era lui che doveva meritarsi il mondo, era il mondo che doveva meritarsi lui. E un certo giorno se n'è andato. Se n'è andato perché il mondo non era roba sua, ma per me è sempre qui».

Il dolore e l'amore

Sul dolore che provoca la perdita di un figlio, Vecchioni ha detto: «Lo strazio è per sua madre, lo strazio continua perché una madre è sempre dimezzata, più della metà del suo cuore è per i figli. Noi padri siamo un pochino meno, così. La cosa più brutta che possa esistere al mondo è perdere un figlio, la più brutta».

Paragonando i suoi figli a ciascuna delle quattro stagioni, Vecchioni ha commentato: «Arrigo è il mio dolce inverno, è un inverno con la neve che sta su, ma sotto la neve c'è sempre qualcosa, no? L'erba continua a crescere, la vita è eterna, è meravigliosa. Io lo penso tutte le notti. E non lo penso, lo vedo, lo vivo. Nessuno se ne va».

La conclusione del suo intervento è una spendida considerazione sull'amore: «Il cuore è una cosa stranissima, più cose gli metti dentro più si allarga. Non ha mai un confine. Tutti gli amori che hai ci stanno dentro. Alcuni più grossi, alcuni piccolini nell'angolo. Ma io potrei averne anche 100 di amori e io amo tutta l'umanità. Tutta l'umanità potrebbe starci nel mio cuore. Poi lo spazio più grande è per loro (i quattro figli, ndr)».

Il libro in uscita

Martedì 27 febbraio arriva in libreria "Tra il silenzio e il tuono", il nuovo libro di Roberto Vecchioni edito da Einaudi. Già dal titolo, autocitazione di "Chiamami ancora amore", emerge il rimando autobiografico insieme all'analisi dei grandi temi che animano la passione del cantautore: la letteratura, la filosofia, la musica e il cinema. Il romanzo è composto da lettere, ma non è un romanzo epistolare canonico. Si alternano due voci: da una parte c'è lui, Roberto Vecchioni, che racconta a un fantomatico nonno alcuni degli episodi più significativi della sua vita. Li riporta in presa diretta, proprio mentre gli accadono, a dieci, quindici, trenta, ottant'anni. Infanzia, amicizie, studi, canzoni, dolori, amori. Sconfitte e vittorie. Il nonno, dal canto suo, non gli risponde mai: forse non ce n'è bisogno, forse conosce Roberto fin troppo bene. Le sue lettere sono indirizzate ad altri personaggi, veri o immaginari, e affrontano gli argomenti più disparati. Che si tratti di Schubert, di bizzarre teorie sugli ingorghi stradali, o di scrittori russi che conosce soltanto lui, ne scrive sempre con la medesima, grandissima passione.

La scelta narrativa è originale, quasi una sfida per affrontare uno dei temi più cari al Prof. Vecchioni: il doppio, l'artista e l'uomo, la vita nel suo oggettivo divenire e gli interrogativi della coscienza. «È un libro in cui racconto la mia vita a partire dalla mia infanzia con delle lettere indirizzate ad un nonno che non risponde mai, ma ha una bella fantasia perché scrive a tante persone sui temi più svariati, parla soprattutto di cultura. Io nelle mie lettere parlo solo di cose che accadono, di fatti verghiani».

Il tempo orizzontale e il tempo verticale, il prima e il dopo si confondono e si illuminano a vicenda in un racconto che spazia tra i generi letterari e tiene insieme vita e visione, disseminando lapilli di saggezza e favolosa meraviglia. E anche se le lettere di Roberto raccontano la storia di una vita - e insieme la storia di un corpo, che sente, ama, si ferisce, si ammala - e quelle del nonno sono fuori del tempo e dello spazio, capita di rimanere spiazzati, perché ogni tanto parlano di qualcosa che sembra essere accaduto a entrambi. Di un palco illuminato, ad esempio, e di un uomo che chiede di essere chiamato amore. Ma, soprattutto, della morte di un figlio, e del dolore lacerante che non ti abbandona mai. Cinquantatré lettere, cinquantatré momenti sfolgoranti per catturare «l'ombra sfuggente della verità».

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