Il prof veneziano Tiziano Zanato "scippa" il Magnifico a Firenze

Il docente di Ca' Foscari ha appena pubblicato per gli Oscar Mondadori l’edizione commentata delle “Opere” di Lorenzo de’ Medici

Venerdì 8 Settembre 2023 di Raffaella Ianuale
Il docente di Ca' Foscari Tiziano Zanato, la pubblicazione delle opere di Lorenzo de' Medici e un ritratto del magnifico

VENEZIA  - Nella competizione rinascimentale tra Venezia e Firenze questa volta ce l’ha fatta un veneziano. Al centro del contendere, tutto letterario, Il Magnifico per eccellenza: Lorenzo de’ Medici. Diventato “signore” di Firenze a soli vent’anni ha trascorso la sua vita a governare e a scrivere. Una produzione letteraria vastissima intessuta di scambi con poeti, pensatori e artisti. «È un uomo che da un punto di vista di produzione letteraria non ha pari: Lorenzo era nato per essere un poeta e un letterato e continuò a farlo per tutta la vita».
A sostenerlo Tiziano Zanato, professore ordinario di Letteratura italiana a Ca’ Foscari che, tra i vari incarichi, è stato anche direttore del dipartimento di Italianistica e Filologia Romanza dell’università di Venezia. Ed è lui, veneziano di nascita e di carriera, che ha “scippato” Il Magnifico alla scuola toscana dedicandogli anni di studio e diventando a livello scientifico tra i maggiori esperti dell’illustre fiorentino. Un attento lavoro filologico che lo ha portato a curare l’edizione commentata delle “Opere” di Lorenzo de’ Medici appena pubblicata da Mondadori nella collana Oscar Classici.

Professore, come è iniziata l’avventura letteraria con Lorenzo de’ Medici?
«Inizia da studente all’università di Padova quando avevo ottenuto una tesi di laurea, chiesta al professor Antonio Quaglio, discussa nel 1976 e tre anni dopo sfociata nel “Saggio sul Comento di Lorenzo de’ Medici” pubblicato da Olschki.

Nel 1991, sempre per Olschki, è uscita la mia edizione critica del “Comento de’ miei sonetti” e del “Canzoniere”. L’anno seguente il quinto centenario della morte di Lorenzo de’ Medici è stato accolto da diverse manifestazioni in tutto il mondo, partecipai a eventi in Italia e a un convegno a New York. In quell’occasione Einaudi mi contatta e viene pubblicata l’antologia delle opere del Magnifico che ora ho ripreso per gli Oscar Mondadori».

Tra serie tv e romanzi, come quello di Matteo Strukul, è un periodo fortunato per i Medici.
«Premetto che non ho visto il film e nemmeno letto il libro. La saga dei Medici è sicuramente adatta al grande pubblico televisivo ed è uscita dall’ambiente anglo-americano. Al di là di questa notorietà, va detto che dopo le numerose manifestazioni per il centenario del 1992, lo studio accademico su Lorenzo è andato declinando».

Più nessuno lo studia nelle università?
«Bisogna arrivare al secondo decennio del 2000 per trovare qualcosa di valore scientifico. Anche per questo gli Oscar Mondadori hanno voluto proporre le sue opere, nel mio volume appena pubblicato, e la sua biografia nel libro di Giulio Busi “Lorenzo de’ Medici una vita da Magnifico” del 2018».

Cosa troviamo nell’edizione delle opere di Lorenzo da lei curata per Mondadori?
«Ci sono le opere del libro uscito per Einaudi nel 1992 e ormai esaurito. Ho quindi aggiornato il volume e ho eliminato alcuni errori».

Lorenzo prende il potere a soli 20 anni, nei suoi scritti emerge il peso della responsabilità?
«Emerge subito. Lorenzo, quando muore suo padre il 2 dicembre del 1469, stava scrivendo una serie di opere divertendosi assieme alla sua brigata di amici poeti. All’indomani dell’assunzione del potere lui dice nei suoi ricordi “Perché a Firenze si può mal vivere ricco senza lo Stato”, che significa se sei ricco devi prendere in mano il potere altrimenti la ricchezza ti viene mangiata. Inoltre in un paio di sonetti scrive “Io mi diparto, dolci pensier’ miei, da voi” e anche “il presente mi sforza a far pur quel ch’io non vorrei”, che vuol dire devo abbandonare le mie rime d’amore a cui tenevo molto e mi dispiace. In realtà un paio di mesi dopo aver preso la guida di Firenze stava già scrivendo nuovamente poesie».

Quindi non scriveva per hobby?
«Lorenzo era nato per fare il poeta e lo dimostra poi in tutta la sua vita. Salvo qualche mese dopo la Congiura dei Pazzi, lui non interrompe mai la sua attività che va di pari passo con il suo Epistolario politico, più di quattordicimila lettere, che si stanno pubblicando: siamo già ad una quindicina di volumi e non è ancora terminato. Scrisse per tutta la vita pur dovendo superare una serie di ostacoli tremendi».

La congiura dei Pazzi e la morte del fratello Giuliano hanno influito nei suoi testi?
«Nella congiura dei Pazzi il fratello Giuliano fu ucciso con un colpo di accetta alla testa, mentre Lorenzo fu ferito. Diciamo che dopo la morte del fratello, Lorenzo diventa un po’ più filosofo. Assume una concezione della vita di tipo esistenziale: vivete oggi perché non sappiamo cosa succederà dopo. “Chi vuol essere lieto or sia di doman’ non c’è certezza”».

Chi faceva parte della sua brigata di amici?
«Poliziano, Botticelli, la sua gioventù è legata anche a Luigi Pulci, ci sono poi nomi meno noti, ma sempre importanti per Lorenzo, come Matteo Franco».

È lei che ha titolato le rime di Lorenzo “Canzoniere”?
«Sono un grande fautore dei canzonieri, un termine che si usava solo per Petrarca. Ho anche curato, con il collega Andrea Comboni, un “Atlante dei canzonieri in volgare del Quattrocento”. Già nel Quattrocento si pensa a strutturare le proprie opere creando una narrazione unitaria. Quindi con un sonetto proemiale, la progressione del senso dell’innamoramento, le rime di anniversario, l’immagine della donna che rimane sempre bella. Lorenzo fece di Lucrezia Donati la sua bella, anche se le belle in realtà erano molte».

Chi era Lucrezia Donati?
«Si sono conosciuti quando erano tutti e due quattordicenni e diventa la sua donna. È bellissima e sposata con un mercante spesso in giro. Se si leggono le lettere che Lorenzo si scambia con gli amici ci sono aneddoti molto gustosi».

Tipo?
«Gli amici vanno a spiare la prima notte di matrimonio di questa donna e riferiscono tutto a Lorenzo. Oppure preparano la via ad incontri più o meno clandestini».

E Simonetta Cattaneo, amata dal fratello Giuliano, è la Venere del Botticelli?
«Non si è sicuri che sia la Venere del Botticelli, ma poi nell’immaginario quella donna bionda con gli occhi verdi diventa Simonetta. Ci sono delle triangolazioni da tenere presenti: quando Simonetta muore, Lorenzo le dedica quattro sonetti, malgrado il suo cavalier servente sia il fratello Giuliano».

Lorenzo fa tutto questo in appena una ventina d’anni?
«Muore a 43 anni per gotta, come il padre e come il nonno Cosimo, che è una uricemia ereditaria dovuta al fatto che da signori, come erano, mangiavano troppa carne. Non a caso Lorenzo, quando scrive una lettera per il figlio Giovanni che stava diventando cardinale giovanissimo, gli dice, tra le altre cose, stai attento a non mangiare troppa carne».

Il poeta Lorenzo può essere considerato erede della migliore tradizione lirica Toscana?
«De’ Medici va inserito nella tradizione lirica toscana, basti pensare alla Raccolta Aragonese, curata assieme al Poliziano, in cui fa una selezione dei principali autori toscani e alla fine ci sono le opere del Magnifico. Lorenzo si pone come punto di arrivo di quella tradizione che parte da Dante e passa attraverso Petrarca».

Cosa si aspetta dal suo ultimo libro sul Magnifico?
«Spero sia da stimolo affinché gli studi scientifici su Lorenzo riprendano e perché i suoi scritti siano letti da un pubblico meno ristretto».

Il prossimo lavoro?
«Dovrei commentare la seconda parte del Paradiso di Dante per Einaudi con Stefano Carrai, che è un sodale amico e appartiene alla scuola fiorentina. Tra noi nessuna rivalità».
 

Ultimo aggiornamento: 27 Settembre, 14:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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