Annie Ernaux: «Scrivere è la mia vita, ma dopo il Nobel non ci riesco più»

Sabato 17 Giugno 2023 di Riccardo De Palo
Annie Ernaux: «Scrivere è la mia vita, ma dopo il Nobel non ci riesco più»

«La letteratura ti permette di scoprire cose, dentro e fuori di te, che non potresti immaginare altrimenti». A parlare è Annie Ernaux, premio Nobel per la letteratura 2022.

La scrittrice francese, 82 anni, che a Taormina è ospite d'onore del festival Taobuk, si racconta, a partire dal "blocco" di cui ha parlato recentemente, e che le impedisce di scrivere.

«Dopo il premio Nobel sono stata sottoposta a sollecitazioni continue: da tutte le parti sono arrivate richieste di interviste, e anche inviti di viaggi all'estero. Naturalmente sono stata al gioco, ho resistito. E adesso, voilà, sono quasi tornata alla normalità».

Ha dei nuovi progetti letterari?
«Ne ho sempre, per me la scrittura è un po' un modo di vivere. Non ho certo abbandonato all'improvviso tutto quello che avevo in cantiere. Conto di rimettermi a scrivere al più presto».


Può anticipare il tema del suo prossimo libro?
«Difficile dire di cosa tratti, enunciarne il tema. Non parlo mai dei libri che non ho ancora finito, perché potrebbero almeno in parte mutare forma, cambiare. Come descrivere l'ultimo, Memoria di ragazza? Direi che prende ispirazione da un avvenimento della mia giovinezza, ma anche questo non vuole dire niente».


A cosa serve la letteratura? Perché scrive?
«Perché non saprei fare altrimenti. Non saprei vivere senza scrivere. Adesso soffro perché non ci riesco, ma non posso arrendermi, perché per me è davvero una ragione di vita. Mi spiego: sul piano personale vivo come tutti gli altri. Ma allo stesso tempo, vivo un'altra vita: mi impadronisco delle cose, le lascio depositare, rielaboro il passato e il presente. È molto bello, tutto questo. Tuttavia, a cosa serva, è un altro discorso. Io credo che la letteratura ti permetta di scoprire cose, dentro e fuori di te, che non potresti immaginare altrimenti».


In "Gli anni" lei ha raccontato il passare del tempo, in una nuova forma di autobiografia, impersonale e collettiva. Cosa vale la pena di salvare, del tempo che passa?
«Tutto ciò che lo merita; come, in fondo, ogni singolo avvenimento. Purtroppo, la nostra memoria non può contenere tutto. Quando ricordiamo, spesso rivediamo i dettagli minuti, che possono sembrare in apparenza trascurabili, ma che non possiamo fare a meno di ricordare esattamente in quel modo. Se ho scritto questo libro è perché l'oblio è l'inesorabile legge del mondo, e avrei voluto salvare tutto, ma sarebbe stato impossibile».


Nel docufilm che ha firmato con suo figlio David, "I miei anni Super 8", ha compiuto un'operazione simile, vero?
«Sì perché avevo dei film super 8 che risalivano agli anni 70: c'erano avvenimenti personali, e dei viaggi in Paesi che nel frattempo sono molto cambiati. Se non li avessi usati, sarebbero rimasti solo per uso familiare. C'era effettivamente quella stessa idea di salvare qualcosa del tempo che passa».


Quali sono le cose importanti della vita secondo lei? Cosa la rende felice?
«Le cose importanti sono sempre quelle che hanno un qualche rapporto con gli altri. L'amore, naturalmente, credo che sia la cosa più importante».


Quali sono i maggiori problemi della società di oggi secondo lei? In Francia protestano da mesi contro il governo Macron.
«C'è una deriva dei governi che guidano alcuni Paesi in maniera antidemocratica, come succede anche in Francia, naturalmente. Lo abbiamo visto con la recente riforma delle pensioni: si è fatto in modo che la gente non si pronunciasse. Utilizzando le possibilità di una Costituzione che permettono tutto questo».


I suoi libri non sono né romanzi né saggi, né veri e propri memoir. Come li definirebbe?
«Sono dei libri letterari, semplicemente. Vale a dire: la scrittura è il mezzo per far passare la realtà. Non sono delle opere di fiction. La finzione è soltanto nella forma, tutto il resto è vero».


Quale ruolo ha avuto la sociologia nella sua formazione e nella sua scrittura?
«È stata una specie di liberazione: mi ha permesso di prendere le distanze, non farmi sentire sola, di non percepire i miei problemi come unici al mondo».


Quando disse di volere essere un'etnologa di sé stessa, cosa voleva dire?
«Usare la distanza che un etnologo ha nei confronti della popolazione che studia. Vedere Moi comme un autre ("Sé come un altro", ndr), che è anche il titolo di un libro di un filosofo, Paul Ricœur».


Nei suoi libri chi sono i veri protagonisti?
«Tutte le persone osservate in maniera generale, attraverso la memoria».


Che cosa rappresenta l'Italia per lei?
«È la mia seconda patria. Il mio Paese del cuore. Da quando sono stata per la prima volta in Italia nel 1963, ha rappresentato per me l'amore, la scoperta di Roma e Venezia. Da allora non ho mai cessato di provare amore per il vostro Paese».

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