Tra gli sceneggiatori più influenti dell'ultimo decennio, tra l'altro capace di cogliere tutte le contraddizioni esistenziali di una umanità sempre più accerchiata dalle...
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Al pari di Mark Zuckerberg (per il film di David Fincher) e mr. Apple (per quello di Danny Boyle), Sorkin dunque mira al ritratto personale per espandere la narrazione in un contesto più generale, intersecando le aspirazioni, i desideri e le controverse applicazioni di un'idea di società in continua evoluzione. Molly's game è dunque lo specchio di una realtà altrettante parallela come quelle del web, in quanto clandestina, dove i protagonisti vivono nell'ombra le loro passioni, spesso pericolose e malsane. Al tavolo di Molly, a un gioco che muove centinaia di milioni di dollari, si siedono in tanti: sportivi, politici, uomini dello spettacolo, magnate, ovviamente mafiosi. Anziché portare a casa una medaglia dalle Olimpiadi, Molly alla fine intasca molto più felicemente milioni di dollari l'anno, fino al crollo dell'impero, che si è retto per quasi una decina d'anni.
Sorkin decide di prendere per asfissia lo spettatore. Lo inonda di parole, usando un montaggio adrenalinico, continuamente spiazzante, dentro il quale si muovono brevi sequenze nelle quali accadono sempre troppe cose, ci sono sempre troppi dialoghi, in modo tale che questo tourbillon produca un effetto stordente, appariscente, vertiginoso. L'aria è quella tendezialmente scorsesiana e non solo per l'ovvio casinò personale edificato da Molly, che costruisce un impero economico come un castello in aria pronto a crollare. E quando crolla l'astuta, battagliera donna (una Jessica Chastain al solito convincente) si affida a un avvocato (Idris Elba) dapprima incerto se accettare (d'altronde la situazione non è semplice da gestire) e poi capace di capire e svelare lati psicologici significativi della sua cliente dal tormentato rapporto con il padre (Kevin Costner), protagonista nel finale della scena più dolente e malinconica di tutto il film, dopo tanto trambusto.
Tratto dall'omonimo libro autobiografico del 2014, Molly's game è un altro tassello di un sogno americano fasullo che si infrange prima sulle piste innevate e poi sui tavoli da poker, dove ogni gesto porta con sé l'azzardo di una vita di successo.
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino