Versatile e altalenante, François Ozon, regista francese che ha da poco superato il mezzo secolo, ha tracciato un'identità comunque identificabile, con una indiscussa capacità...
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Stavolta con Doppio amore racconta Chloé (Marine Vacth), una giovane ragazza problematica, che un giorno si reca da uno psicanalista (Jérémie Renier) per risolvere i problemi che le provocano un continuo disturbo allo stomaco. In realtà la seduta anziché sgombrare il campo dalle nuvole esistenziali, complica ancora di più la faccenda, perché l'analista si innamora di lei. I due vanno a convivere, ma pian piano Chloé scopre che Paul ha troppi misteri, a cominciare da un gemello, che fa curiosamente lo stesso mestiere. Giocando su schemi tipici da thriller, il film si incatena presto a una dialettica speculare, dove la doppiezza crea curiosità iniziale, sbandamento successivo e paura finale, in un gioco ultracitazionista che rischia tuttavia di rendere meno efficace l'intera vicenda, in un'ostinazione celebrativa di sé e del cinema altrui.
Traendolo da un romanzo di Joyce Carol Oates, Ozon dirige comunque un film bizzarro, coraggioso, che non teme il ridicolo, verso il quale a volte scivola consapevolmente, e affronta, a volte anche con inserti spiazzanti e trash (parti anatomiche in primo piano, dettagli horror, sguardi dentro il corpo, un paio di sequenze erotiche), il tema del doppio, come nevralgica rappresentazione delle relazioni umane. Certo quando la soglia dell'esagerazione tocca il livello di guardia non è Cronenberg e nemmeno Verhoeven, ma alla fine il suo film è stato tra i più divertenti dell'ultimo concorso cannense e certo il finale, magari non così stupefacente come sembrerebbe, dà comunque una svolta che non lascia indifferenti. (adg)
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Il Gazzettino