Le cinque scale dell'Architettura

Le cinque scale dell'Architettura
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L'ESPOSIZIONE
Il titolo sembra quasi una vecchia canzone di Sade quando gorgheggiava Why can't we live together nel lontano 1984 e in qualche modo ci si avvicina. Complice il Coronavirus che sta modificando (speriamo ancora per poco) la nostra vita, la Biennale è stata costretta, suo malgrado, a presentare via streaming la 17. edizione della Mostra d'Architettura intitolata How will we live together (Come faremo a vivere insieme) curata dall'architetto americano-libanese Hashim Sarkis. E anche l'ultimo saluto del presidente Paolo Baratta è andato in onda online. Un addio in sordina, forse giunto a puntino con quel pizzico di understatement che spesso ha caratterizzato le dichiarazioni del Presidente uscente negli ultimi anni. E pur all'ultimo atto, ieri Baratta davanti alla telecamere per una ripresa in mondovisione, salutando il pubblico sulla Rete, ringraziando lo staff della Biennale, e salutando il suo successore Roberto Cicutto, non è riuscito a trattenere l'emozione tradito da una voce leggermente spezzata. «Questa è la 17. edizione di Architettura, ma è anche la mia ultima mostra...». Dal canto suo Cicutto in una nota ha ricordato il periodo straordinario di Baratta e la sua sapiente guida della Biennale. Così, probabilmente, per Baratta il distacco è stato meno feroce che durante una conferenza stampa con i giornalisti alle calcagna. Come diceva un vecchio adagio The show must go on.

UNA ESPOSIZIONE ADULTA
«La Mostra di Architettura - ha esordito il presidente - si è fatta adulta e ci fa individui più consapevoli, ci aiuta a essere non solo consumatori, ma cittadini. La mostra di Sarkis coglie in uno sguardo ampio problemi strutturali della società contemporanea in tutte le aree del mondo, con i fenomeni dei grandi cambiamenti, ma dove sono necessari degli aggiustamenti». Ma al di là dell'architettura, (e comunque strettamente legato) Baratta non dimentica il messaggio politico. «In un'epoca in cui può essere diffusa la sensazione non più di essere a cavallo di un progresso che continuamente si diffonde - avverte - ma di essere vittime dei cambiamenti che esso comporta, nel quale molti possono approfittare delle paure, dei timori, delle frustrazioni che ne derivano, per sviluppare campagne ultra difensive, ci pare utile che la Biennale si richiami all'identità di una società o di una comunità attraverso la qualità dei progetti per il futuro».
LA RISPOSTA AL SOVRANISMO
Parole chiare, anche nel mare agitato della società italiana tra sovranismi e rivendicazioni. E proprio nel ribadire il concetto della pluralità che sta il messaggio di Biennale Architettura: 114 partecipanti in concorso da 46 paesi, con tanta Asia, Africa e America Latina; 63 partecipazioni nazionali ai Giardini di Castello e all'Arsenale (tre nazioni presenti per la prima volta: Grenada, Iraq e Uzbekistan) e sulla Terraferma mestrina, a Forte Marghera (con un progetto dedicato al gioco How will we play together) oltre al coinvolgimento di architetti, esperti e professionisti da tutto il pianeta nel progetto Co-habitats. Ci saranno anche i cosidetti Weekends in Architettura, tre fine settimana a cavallo tra ottobre e novembre prossimi con sessioni di incontri tra pubblico e artisti. E non solo. Ci sarà anche un progetto speciale al Padiglione Arti Applicate nella Sala d'Armi all'Arsenale in collaborazione tra Biennale e Victoria and Albert Museum di Londra intitolato British Mosques (Moschee inglesi) dove si analizzeranno il caso di edifici (chiese protestanti, sinagoghe, vecchi pub, case a schiera) che sono diventati luoghi di culto islamico in Gran Bretagna. Un tema a dir poco caldo, ma senza dubbio di ragguardevole interesse dal punto di vista sociale, politico e ovviamente religioso.
IL PROGETTO
Argomento che in qualche modo si lega alla proposta elaborata della Biennale Architettura. E per immaginarsi la prossima esposizione, si può idealmente pensare ad un grande condominio. E così (forse) deve averlo pensato l'architetto Sarkis visto che ha ipotizzato una mostra fatta a cinque scale dedicate al rapporto tra gli esseri umani; sui nuovi insediamenti e le realtà demografiche; sul senso civico delle comunità residenziali (parchi, scuole, ospedali) con uno sguardo dedicato a città come Venezia, Addis Abeba, Beirut, Hong Kong, Lagos, Pristina, New York, Rio de Janeiro e San Paolo. Infine le ultime due scale del condominio con il superamento dei divario tra realtà urbana e rurale; sulle città globali e le loro infrastrutture fino a celebrare il 75. anniversario delle Nazioni Unite inteso come spazio comune e collettivo e luogo deputato ad affrontare le sfide globali.
UNA RICERCA A TAPPETO
«Gli architetti - ha spiegato Sarkis dal suo studio al Mit di Boston in Massachussetts insieme al suo team di ricercatori provenienti da tutto il mondo - sono stati incoraggiati a coinvolgere nella loro indagine altre figure professionali e gruppi di lavoro: artisti, costruttori, artigiani, ma anche politici, giornalisti, sociologi e cittadini comuni. Con questo vogliamo riaffermare il ruolo essenziale dell'architetto, che è quello di affabile convener e custode del contratto spaziale». Ed è alla fine (quasi) un gioco di parole o come ha detto lo stesso Baratta una chiamata alle armi (quelle buone della cultura, ben s'intende) la sfida che si raccoglie anche scomponendo l'interrogativo del titolo di Biennale Architettura 2020 di How will we live together?.
IL SIGNIFICATO

Così come ce lo sottolinea lo stesso Sarkis: dove How (Come) guida gli approcci pratici e ritrova soluzioni concrete; Will (sarà) indica lo sguardo verso il futuro, con la ricerca di una visione dell'immaginario architettonico; We (noi) come termine inclusivo per tutti i popoli, e di altre specie per una definizione empatica dell'architettura; Live (vivere) ovvero prosperare, fiorire, abitare puntando all'ottimismo, contro ogni oppressione; Together (insieme) ovvero come azioni collettive (beni comuni, valori universali) e infine il punto interrogativo ovvero quel che rimane di una domanda aperta, che va alla ricerca di risposte e che celebra la pluralità dei valori dell'architettura. «Questa domanda - ribadisce Sarkis - è una domanda tanto sociale e politica, quando spaziale. Recentemente le norme sociali in rapida evoluzione, la crescente polarizzazione politica, i cambiamenti climatici e le disuguaglianze globali ci fanno porre questa domanda in maniera più urgente e su piani diversi rispetto al passato. E paradossalmente le debolezza dei modelli politici proposti oggi ci costringe a mettere lo spazio al primo posto e, come forse Aristotele, a guardare il modo in cui l'architettura dà forma all'abitazione come modello per vivere insieme».
Paolo Navarro Dina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino