IN CITTÀ PORDENONE Più di Trieste. Nettamente più di Trieste.

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IN CITTÀ
PORDENONE Più di Trieste. Nettamente più di Trieste. Un segnale, perché nel capoluogo regionale la manifestazione era quella delle categorie, delle sigle, mentre in piazza XX Settembre a Pordenone c'era il polso della gente, del popolo che dalle 18 è chiamato a non lavorare più per arginare il contagio. E che fa fatica a capire perché, pesando su una bilancia pesante da un lato e leggera dall'altro la paura di prendere il Covid e quella di perdere tutto. Ieri erano in 3.500, in piazza XX Settembre. Mascherina addosso (solo un giovane è stato multato a fine corteo), cartelli in mano. Erano tanti, più del previsto, fino a eleggere la manifestazione di Pordenone al primo posto in regione quanto ad adesioni. Compatti, c'erano ristoratori, baristi, operatori del settore dei viaggi, negozianti. E cittadini, diversi cittadini. Unanime il supporto delle categorie: da Confcommercio a Confartigianato, per finire con gli industriali e il settore delle palestre e delle piscine. In precedenza si era svolto anche il sit-in dei lavoratori della musica e della danza. Ma alle 18.30 si è potuto tastare davvero l'umore della piazza.

LE VOCI
«È facile dire agli altri di stare a casa per chi ha uno stipendio sicuro». «Fedriga ragiona autonomamente e facci lavorare». «No al nuovo Dpcm». Sono le scritte comparse su cartelli e striscioni, posizionati negli stessi punti di quelli dei trionfi del Pordenone. Ieri però niente calcio, niente gioia. Tanta rabbia e paura. «Del contagio, certo - spiega una barista -, ma più di rimanere senza nulla, senza lavoro». «Agenti di viaggio in lockdown da marzo», spiega una lavoratrice di un'agenzia. C'è di tutto, una rappresentanza per ogni categoria in crisi. E ancora prima che inizino i discorsi ufficiali, si alza il grido «libertà, libertà». Sventolano bandiere tricolori, nessun simbolo di partito.
L'ALLARME

La voce dei ristoratori è quella di Carlo Nappo, titolare della Catina, pochi metri più in là. «Siamo nello stesso mare, ma con barche diverse. Non siamo negazionisti, non chiediamo sussidi ma di poter lavorare almeno sino alle 23. E per il 2021 la pace fiscale. Farci pagare sarebbe istituzionale». Piovono applausi. Alberto Marchiori (Ascom): «Ho provato sulla mia pelle cos'è il Covid, ma vogliamo vivere. Si iniziano a contare i suicidi di chi non ce la fa. Vogliamo poter lavorare rispettando le regole». Poi tocca a Silvano Pascolo (Confartigianato): «Rischiamo di pagare un prezzo altissimo nei prossimi anni». Fabio Cadamuro (Fipe) è la voce dei baristi: «La categoria è a terra e le chiusure sono una follia: la gente si ritroverà nelle case senza controlli e regole. Il decreto dev'essere rimodulato». Interviene anche Michelangelo Agrusti (Confindustria): «Combatteremo sia contro il virus che contro l'imbecillità. Speriamo che in Italia ci siano scienziati più seri rispetto a quelli che affollano le tv, dal momento che la loro soluzione si limita alla quarantena come nel 1.600. Questa piazza rappresenta una grande forza tranquilla: non ce ne andremo nella notte senza combattere. Sindaco, quest'anno illumini prima il Natale». «Abbiamo il massimo rispetto per il virus - aggiunge l'assessore comunale Loperfido - ma nel mondo non esiste solo il Covid». Chiude la fila di interventi il sindaco Ciriani. «Qualcuno ha polemizzato sulla mia presenza in piazza. Perché un sindaco dovrebbe partecipare? Chi critica non riceve le lettere delle persone in difficoltà. Io sì. Mi dicono di non abbandonarle. Una piazza come questa, ordinata e responsabile, è la migliore risposta. Non siamo in difesa del popolo dello spritz, ma di chi lavora e porta a casa il pane. La situazione sanitaria a Pordenone è sotto controllo: ci devono spiegare oerché hanno chiuso anche qui. Ci servono dati. Sento un clima di forte depressione in una città da sempre laboriosa. Porteremo tutte queste istanze a Fedriga e successivamente al governo». E proprio a Fedriga arrivano diverse richieste dalla piazza. Vanno in un'unica direzione: far valere la specialità del Friuli Venezia Giulia e forzare il decreto. Una preghiera che se ne va verso le 20, con il lento deflusso di una Pordenone che torna deserta. Come da decreto.
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Il Gazzettino