Sulla tomba del figlio Riccardo: «Ciao bocia, abbiamo vinto, riapro il kartodromo»

La tomba del giovane morto nel 2009
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​VO’ EUGANEO - Il kartodromo che porta il nome di suo figlio può riaprire. L’ha deciso l’altro giorno il Tar che ha annullato la diffida della Provincia a proseguire i lavori e a svolgere le corse delle monoposto nel circuito “Riccardo Borile” a Vo’. Quando l’ha saputo, il proprietario Umberto Borile come prima cosa è andato sulla tomba del figlio, morto tragicamente nel 2009 a soli 19 anni: «Ciao bocia. Sono venuto a dirti che abbiamo vinto. Abbiamo vinto contro la cattiveria, l’arroganza e l’abuso di potere. Sono venuto a dirti che riapriamo la pista che porta il tuo nome, e sempre lo porterà finché avrò vita» ha detto Umberto con un amaro sorriso guardando la foto del suo ragazzo sulla lapide. «Per me lui c’è ancora - racconta il padre - e per questo la prima persona a cui ha detto cos’era successo, è stata lui. Sono corso in cimitero e glie l’ho raccontato. Ho portato avanti il suo sogno con quella pista. Riccardo la voleva tanto e non ha mai potuto vederla finita. Ma sono certo che una mano me l’ha data da lassù». 

Un gruppo di ambientalisti si era rivolto alla Provincia contro l’apertura del kartodromo. Il problema sarebbe stato il rumore provocato dalle corse dei piccoli bolidi. E per questo la Provincia aveva diffidato Borile dal proseguire i lavori e le attività all’interno della pista. Borile si è ribellato e, assieme all’avvocato Alvise Arvalli, ha fatto ricorso al Tar. E il tribunale amministrativo mercoledì ha accolto l’istanza di sospensione dell’impugnata diffida condannando la Provincia alla rifusione delle spese della fase. «In ragione di tale provvedimento - spiega l’avvocato - Umberto Borile intende riattivare l’impianto il prima possibile». 
E così farà. Borile gliel’ha promesso a Riccardo lo stesso giorno in cui il Tar si è pronunciato. «Ci hanno buttato fango addosso, come fossimo dei delinquenti. Per fortuna dei giudici imparziali e di buon senso, hanno constatato che non bastano 50 firme a dire che si fa rumore se non ci sono prove scritte e dati inconfutabili. Ci siamo sempre comportati seguendo i regolamenti che ci hanno imposto. Non abbiamo mai trasgredito, ma le cattiverie o forse anche l’invidia di alcune persone ci hanno reso la vita difficile negli ultimi tempi».

«Tu lo sai - si rivolge direttamente al figlio - siamo persone oneste e volenterose, che se possiamo tendiamo una mano aperta al prossimo e non un pugno. Ma questo a volte non basta per contrastare l’accidia e l’accanimento insensato. Per fortuna c’è ancora una giustizia. Ma sono sicuro che una mano me l’abbia data anche tu da lassù».
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Il Gazzettino