Mose, ecco la sentenza: condannati 4 su 8. A Matteoli 4 anni, assolto Orsoni

VENEZIA - Quattro condanne e quattro tra assoluzioni e dichiarazioni di intervenuta prescrizione del reato. Si è...

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VENEZIA - Quattro condanne e quattro tra assoluzioni e dichiarazioni di intervenuta prescrizione del reato.

Si è concluso così il processo per lo scandalo Mose.
La sentenza è stata letta alle 18 dal presidente del Tribunale di Venezia, Stefano Manduzio.
L'ex ministro all'Ambiente e alle Infrastrutture Altero Matteoli, imputato di corruzione, è stato condannato a 4 anni, alla confisca di 9.575.000 euro e all'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni;  stessa pena per l'imprenditore romano Erasmo Cinque della Socostramo 4 (anni e confisca di 9.575.000).
L'ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva è stata invece assolta per il collaudo, prescrizione invece per l'altra imputazione; l'imprenditore veneziano Nicola Falconi condannato a 2 anni 2 mesi; l'architetto padovano Danilo Turato (che si occupò della ristrutturazione della villa di Cinto Euganeo dell'allora governatore Galan) assolto.
L'ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, imputato di finanziamento illecito, è stato assolto per un capo (finanziamento in bianco), prescrizione per l'altro (quello in nero); anche l'ex presidente del Consiglio regionale ed ex eurodeputato Amalia Sartori è stata assolta.
L'avvocato romano Corrado Crialese, imputato di millantato credito, condannato a 1 anno 10 mesi.
La Procura aveva sollecitato 6 anni per Matteoli, 5 per Cinque, 4 per Piva, 3 per Falconi, 2 anni e 4 mesi per Crialese, 2 anni e 3 mesi per Orsoni e Turato, 2 anni per Sartori.
«Come ho avuto modo di confermare anche stamani davanti al Tribunale di Venezia - ha detto Matteoli -  non sono un corrotto, mai ho ricevuto denaro né favorito alcuno. Non comprendo quindi questa sentenza verso la quale i miei avvocati ricorreranno in appello. Ho il dovere di credere ancora nella giustizia nonostante la forte amarezza che patisco da quasi 4 anni per una vicenda che non mi appartiene». 

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Il Gazzettino