Giuseppe e Nicola, amici ciclisti, fanno l'impresa scalando 4 vette friulane

Giuseppe e Nicola, amici ciclisti, fanno l'impresa scalando 4 vette friulane
Uno è friulano, tarvisiano doc e fa il magazziniere. L'altro è trentino, più precisamente primierotto, preparatore atletico e ricercatore in fisiologia...

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Uno è friulano, tarvisiano doc e fa il magazziniere. L'altro è trentino, più precisamente primierotto, preparatore atletico e ricercatore in fisiologia dell'esercizio fisico all'Università di Udine. A unirli l'essere atleti e il grande amore per la montagna.


Le strade di Giuseppe Pira Della Mea e Nicola Giovanelli si incrociano grazie alle gare e da un anno e mezzo le uscite in coppia sono la norma. Un feeling che nel giugno 2019 li porta ad affrontare la Monte Rosa Sky Marathon, gara a coppie su sentieri, piste e ghiacciai: 35 km e 7000 m di dislivello. Una fatica di 5 ore e 41 minuti che gli vale il quarto posto. Nulla a che vedere, però, con il progetto che venerdì 4 settembre allo scoccare della mezzanotte li ha visti scattare dalla piazza di Tarvisio in sella a due bici da strada. Direzione Piani del Montasio.

L'obiettivo? «La malsana idea» di mettere in fila Jôf di Montasio (2.754 metri), Canin (2.587), Jôf Fuart (2.666) e Mangart (2.677). Tutto in 24 ore per un totale di oltre 7200 metri di dislivello e 130 km da fare solo sulle due ruote. A spingerli non è una gara o un record, ma la semplice voglia di «chiudere un giro». Qualche anno fa ci avevano provato Tadei Pivk, Gino Caneva, Alex Di Lenardo e Alessandro Piccoli. Il giro si era però interrotto a 180 metri dalla cima del Mangart. «Facevo assistenza - ricorda Della Mea - e mi è sempre rimasta la voglia di finire ciò che loro avevano iniziato». Farlo da solo non è però fattibile. Bisogna aspettare il compagno giusto. Una lunga attesa ripagata quando Giuseppe incontra Nicola: è il tassello che mancava. Si può andare.

LA PARTENZA
Dopo il rinvio di una settimana a causa del maltempo, Pira e Nicola riescono a partire: «C'è chi dice sia stata un'impresa - spiega Giovanelli - le vere imprese sono altre. Ovvio non è stato facile, ma preferisco vederla come una particolare avventura». La coppia si muove da Tarvisio «sono nato e cresciuto qui - racconta Della Mea - mi sembrava giusto iniziare dal centro del paese» e lo fa a mezzanotte «perché pensavamo di metterci ventiquattro ore». La prima ascesa avviene di notte: compresa la salita alla vetta lungo la scala Pipan «è stato strano farla al buio, anche se grazie alle frontali le difficoltà non sono aumentate». In cima, il tradizionale Bergheil, qualche minuto per pensare alla tappa successiva e poi giù lungo lo stesso percorso. Dopo il Montasio, tocca al Canin passando dal Gilberti, Sella Bila Pec e la ferrata Julia. Nuova sosta in vetta e poi altra discesa fino a Sella Nevea dove, sempre in bici, bisogna trasferirsi alla base dello Jôf Fuart. «È stata la parte più difficile - spiega Pira - perché è stata la salita più lunga in generale. Dobbiamo ringraziare Noemi Filippini che, al rifugio Corsi, ci ha portato un piccolo rifornimento che avevamo preparato. Mi ricordo che in cima ci siamo detti che lontani che sono Montasio e Canin, ma che lontano che è ancora il Mangart». Il non voler fare le cose troppo di fretta, ha aiutato la coppia che si è presa «tutto il tempo necessario per mangiare e organizzare ogni tappa». Alla base del Fuart, ad attenderli, c'è Maurizio Ragonese, che li scorta in sicurezza attraverso il Predil fino all'attacco dell'ultima vetta: il Mangart .


Sono passate 17 ore e ci sono ancora 800 metri di dislivello in salita da fare. I due toccano la croce alle 18.30, da quel momento è tutta discesa, prima a piedi poi ancora in sella fino a Tarvisio. La coppia arriva in piazza alle 20.25. «Non avevo mai fatto cose oltre le otto ore - racconta Della Mea - e sono contento di aver testato il mio fisico. Ho capito che con l'allenamento e il supporto morale di una persona con cui hai tanta sinergia, puoi fare tutto». «Eravamo abbastanza tranquilli - aggiunge Giovanelli - perché il percorso non è così selvaggio. Abbiamo fatto tutto in autonomia, ma sapevamo che, in caso di vera difficoltà, c'erano punti di appoggio su cui poter contare». Nicola confessa anche che da ogni cima ha guardato verso ovest: «Lo faccio sempre. Ormai sono friulano d'adozione, ma da ogni vetta cerco con lo sguardo le mie Pale di San Martino». Nonostante Giuseppe e Nicola ripetano che non è un'impresa, di sicuro non è una cosa da fare a cuor leggero: «Di sicuro ci vuole buona preparazione di base e bisogna saper andare in montagna - precisa Pira - perché si affrontano anche difficoltà alpinistiche». La rifarete? «Credo di no. Sono cose che hanno un fascino particolare proprio perché si fanno una sola volta nella vita».
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Il Gazzettino