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PORDENONE - Da oggi tornerà sul piccolo schermo alle prese con una classe di adolescenti di cui sarà il prof di italiano ed educazione civica nel docu-reality Il Collegio. Andrea Maggi, pordenonese, professore lo è di mestiere, tutti i giorni in classe in una scuola secondaria di primo grado e non solo nel programma tv in onda in prima serata su Rai2 (giunto ormai alla sesta stagione). Un'esperienza, la sua, che si condensa in una nuova pubblicazione in libreria in questi giorni per Feltrinelli Kids dall'emblematico titolo Tutti promossi.
Una sorta di mini decalogo di comportamento?
«Sì ci sono dei capitoli con dei suggerimenti molto pratici. Questo perché mi sono accorto che sempre più spesso i ragazzi, così come le famiglie, fanno degli errori tattici clamorosi.
Secondo lei questa assenza di filtri rispecchia l'attitudine a confidare ai social ogni pensiero?
«Una volta c'erano dei freni inibitori, una sorta di distacco. Oggi sempre meno. Probabilmente i social hanno sdoganato questa attitudine, non ci si fa più scrupoli a raccontarsi a chiunque. Ce ne accorgiamo anche nei colloqui con i genitori che talvolta diventano quasi dei confessionali. Ai docenti vengono rivelati racconti che vanno oltre il necessario. Gli insegnanti hanno ancora un po' di autorevolezza e probabilmente per questo diventano punti di riferimento con cui confidarsi».
Come è nato il libro?
«Durante lo scorso anno di pandemia. C'erano molti studenti in casa in Dad, afflitti dalla solitudine. In quel periodo ho iniziato a ricevere migliaia di messaggi di ragazzi che mi seguivano nei profili social. Non riuscivo a rispondere a tutti. L'ho scritto pensando che dovevo dare loro una motivazione allo studio, motivazione che durante la dad stavano perdendo ma che è necessaria per uscire da questo periodo, per progettare un futuro».
A cosa serve studiare quindi?
«A che serve studiare la grammatica, il latino, nella vita concreta di tutti i giorni? Beh serve a imparare ad acquisire dei contenuti, a dare loro un nome. In questo modo le paure fanno meno paura. Alla fine, l'intento è sempre il medesimo, aiutarli a trovare loro stessi. Molti di questi ragazzi sono agitati perché sono smarriti».
È quanto lei realizza nel microcosmo del Collegio. In che anno ci ritroveremo catapultati dal 26 ottobre?
«Nel 1977, anno politicamente molto caldo, l'anno degli attentati terroristici, di enormi tensioni, ma anche del punk, delle fanzine e delle radio libere. Anni in cui i giovani iniziano a far sentire la loro voce attraverso la stampa. Credo ci sia una analogia con il fermento giovanile di oggi rispetto ai temi della tutela dell'Ambiente per i quali i ragazzi sono scesi in strada, e a cui dobbiamo l'Agenda 2030». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino