La tragedia di Chernobyl ricostruita all'ex psichiatrico di Granzette

Una delle ricostruzioni della tragedia
ROVIGO - Li chiamano Samosely e sono i sopravissuti al disastro nucleare di Chernobyl che sono tornati ad abitare, contro ogni divieto, nella zona di alienazione dalla centrale....

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ROVIGO - Li chiamano Samosely e sono i sopravissuti al disastro nucleare di Chernobyl che sono tornati ad abitare, contro ogni divieto, nella zona di alienazione dalla centrale. Nei paesi di Okhypovatoe e Opacichi sono una ventina: nel 1986 avevano tra i 50 e i 60 anni, e a distanza di un anno dal disastro, più o meno, iniziarono a tornare alle loro case perché non avevano nient’altro. Sono la memoria di Chernobyl, insieme a 65 villaggi abbandonati, scorie e materiali contaminati.

 
«Non si vedeva la morte, non si toccava, non aveva odore», raccontano oggi. È dedicata a loro l’ultima delle 44 stanze nel percorso della mostra multisensoriale “Il silenzio assordante di Chernobyl”. L’ha organizzata l’associazione I luoghi dell’abbandono nel padiglione 3 dell’ex manicomio di Granzette e l’apertura è programmata fino alla ricorrenza del prossimo 26 aprile, giorno dell’incidente nucleare, con visite ogni sabato (orario 14-18) e domenica (10-18). Nelle quattro precedenti edizioni a Dueville, Bondeno, Recoaro e Vicenza, la mostra aveva totalizzato 17.200 presenze. Ieri l’inaugurazione a Rovigo ne ha contate oltre 150.
L’associazione vicentina, che ha attivato anche una raccolta fondi per i Samosely, organizza periodicamente visite fotografiche nei luoghi del disastro e a fare da guida è Katarina Rupich, che ieri ha detto: «Quando successe il disastro nessuno spiegava cos’era successo e la scarsità di informazioni continuò a lungo. Oggi la natura è rinata in molti luoghi e le persone che sono tornate a viverci accolgono volentieri le visite. Non hanno praticamente nulla, ma offrono tutto quello che hanno, e sempre un sorriso». «A Pripyat, la città a due chilometri da Chernobyl che ospitava i lavoratori della centrale e le famiglie - racconta il presidente di I luoghi dell’abbandono, Devis Vezzaro - la radiottività varia da zona a zona: è massima al parco e nell’area dell’ex porto industriale, per esempio, perché sono presenti molti rottami di metallo. La realtà è molto varia all’interno della zona di alienazione, che delimita il territorio più esposto alle radiazioni, perché la contaminazione oggi dipende anche dai numerosi interramenti di vario materiale e attrezzature: nessuno ha una vera mappa dei depositi e solo i liquidatori possono ricordarli».

Erano i lavoratori che per l’equivalente di 70 euro al mese, tra il 1986 e 1987 in particolare e fino ai primi anni 90, rimossero i materiali contaminati: ne sono morti almeno 35mila, portando con loro la memoria sugli interramenti. Nella mostra a Rovigo sono esposti anche reperti rari, presenti solo al Chernobyl national museum di Kiev, insieme a 530 foto, proiezioni video e documenti della vita di ogni giorno, che sono diventati il simbolo di una “vita liquidata”. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino