Gestione Mose, è dietrofront: lo Stato non pagherà le spese

Gestione Mose, è dietrofront: lo Stato non pagherà le spese
VENEZIA Chi gestirà il Mose, una volta completato? Non si sa. Chi pagherà le spese di funzionamento delle dighe mobili di Venezia? Mistero. Doveva farsene carico...

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VENEZIA Chi gestirà il Mose, una volta completato? Non si sa. Chi pagherà le spese di funzionamento delle dighe mobili di Venezia? Mistero. Doveva farsene carico Roma, ma, improvvisamente, la frase con oneri a carico del bilancio dello Stato è scomparsa. Cancellata e non sostituita. Come se il tema non fosse all'ordine del giorno. Il che, effettivamente, è vero nell'anno 2019, ma appena il Modulo sperimentale elettromeccanico per la tutela e la salvaguardia della laguna di Venezia sarà pronto, qualcuno dovrà pur farlo funzionare. E, di conseguenza, qualcuno dovrà pagare la gestione del meccanismo di tutela della città dalle alte maree. O si è costruito un mostro per lasciarlo marcire sott'acqua?

LA POLEMICALa notizia è di ieri mattina, quando, in commissione Bilancio al Senato, vengono portati in votazione gli emendamenti al Decreto Sblocca-Cantieri. Ce n'è uno che riguarda il Mose e che a suo tempo aveva fatto discutere perché il ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli (M5s) aveva previsto che a farsi carico della manutenzione delle dighe mobili - circa 100 milioni di euro all'anno - fossero, oltre allo Stato, anche Regione Veneto, Comune e Città metropolitana di Venezia, attraverso un'imposta di scopo con ricavato vincolato a carico dei turisti. «Il Mose è un'opera nazionale e se ne deve occupare il governo», aveva tuonato il governatore Luca Zaia, annunciando che per quanto lo riguardava era «strada sbarrata». Alla fine Toninelli aveva fatto marcia indietro, tanto che era stato presentato un altro emendamento, a firma Antonella Faggi (Lega) e Agostino Santillo (M5s) in cui si specificava che i soldi che serviranno a far funzionare il Mose saranno totalmente a carico dello Stato. Testuale: la Struttura per la gestione del Mose è composta e opera a mezzo di una dotazione economica finanziata con oneri a carico dello Stato.
COLPO DI SCENAMa quello che viene portato in votazione ieri mattina in commissione Bilancio al Senato non è l'originario emendamento Faggi/Santillo. È un altro testo. Che conferma la nomina di un commissario straordinario, ma non più per il completamento e la messa in esercizio del Mose, bensì per sovraintendere alle fasi di prosecuzione dei lavori volti al completamento dell'opera. Quisquilie? Può darsi, però inizialmente era chiaro che il commissario dove completare e mettere in esercizio in Mose, adesso un po' meno. Ma la sorpresa è un altra: nel nuovo emendamento non c'è più alcun riferimento alla Struttura pubblica di gestione, quella che doveva mettere assieme quattro ministeri (Economia, Trasporti, Beni culturali, Agricoltura/Turismo) più Regione Veneto, Comune e città metropolitana di Venezia, Autorità di sistema portuale e che doveva funzionare con risorse statali. Come mai?
La spiegazione arriva dal ministero di Toninelli: il ministero dell'Economia e delle finanze «non ha ritenuto economicamente sostenibile il comma dell'emendamento sulla struttura di gestione che era stato ricalibrato recependo le istanze dei territori interessati». La bocciatura, ha precisato la nota, è venuta «nonostante l'interessamento del viceministro Massimo Garavaglia». L'emendamento in commissione è passato, ma pare di capire che sia stato solo un ok tecnico. Tant'è che poi, in aula, su richiesta del relatore Santillo, l'emendamento è stato accantonato.
I FONDIIn Comune di Venezia lo stralcio della gestione del Mose non sembra aver destato grande preoccupazione. Prima o poi, è il convincimento, qualcuno si occuperà della gestione del Mose, intanto l'importante è che venga finito, come peraltro sottolineato dal ministero di Toninelli: Il Mose è storicamente un mastodontico ricettacolo di sprechi e scandali, un'opera costosissima sia sul fronte della costruzione che della manutenzione. Una infrastruttura che, però, a questo punto va completata e fatta funzionare».
A far felici gli enti locali è semmai la conferma dell'arrivo dei fondi: i 25 milioni del 2018 e i 40 milioni del 2019 saranno ripartiti non più attraverso il Comitatone ma con decreto del presidente del Consiglio dei ministri su proposta di Toninelli, sentiti gli enti attuatori.

A protestare è il deputato dem Nicola Pellicani: «Il decreto sblocca-cantieri con i successivi vari emendamenti e subemendamenti è stato scritto e riscritto mille volte, con il risultato finale di scoprire che l'Agenzia per la manutenzione e la gestione delle dighe mobili non si potrà fare perché mancano le risorse. Questo governo è ormai allo sbando, passerà alla storia per non aver fatto nulla per Venezia».
Alda Vanzan  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino