Il "bocia" Onorino morto a 100 anni: era l'ultimo alpino sopravvissuto della nave Galilea

Onorino Pietrobon
SAN QUIRINO - Le luci che il figlio Silvano aveva posizionato fuori casa con la scritta “Auguri” per i 100 anni di Onorino Pietrobon si sono spente. E a qualche giorno...

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SAN QUIRINO - Le luci che il figlio Silvano aveva posizionato fuori casa con la scritta “Auguri” per i 100 anni di Onorino Pietrobon si sono spente. E a qualche giorno di distanza, con loro si è spento anche l’anziano alpino, che era l’ultimo sopravvissuto in Italia all’affondamento del Galilea, avvenuto il 28 marzo del 1942. Onorino ha resistito fino al traguardo importante, i cento anni festeggiati il 17 gennaio assieme ai figli Silvano e Nelida, il genero Celestino e la nuora Ofelia, i quattro nipoti e altrettanti pronipoti, ma anche assieme alla sua “fameja” alpina, il parroco e il sindaco.


IL RICOVERO IN OSPEDALE
Dopo un ricovero di poco più di 24 ore all’ospedale di Pordenone (dove era stato trasferito nella notte tra sabato e domenica), Onorino è “andato avanti” pronto a riunirsi alla moglie Teresa, morta lo scorso novembre per Covid e con cui lo scorso marzo aveva traguardato i 70 anni di matrimonio. Anche Onorino era stato contagiato a novembre, ma era riuscito a superare la malattia e il profondo dolore per aver perso l’amata moglie.
IL RICORDO

«È sempre stata la sua volontà e il suo spirito a colpirci profondamente. Il giorno del suo compleanno era in splendida forma, mente perfetta» lo ricorda Natale Moschetta, capogruppo di San Quirino dell’Associazione nazionale alpini. «Uomo di grande fede, era il socio più anziano tra i 125 del nostro gruppo comunale. È un dispiacere grande, se ne va l’ultimo sopravvissuto della strage del Galilea, dove morirono 1050 persone». Onorino aveva iniziato a stare male già venerdì, poi l’aggravamento nel fine settimana e il trasferimento nel nosocomio in ambulanza, sulla cui barella era salito da solo. Se n’è andato in poche ore, Onorino, il cui rosario si terrà domani sera nella chiesa parrocchiale di San Quirino, dove giovedì pomeriggio si terrà il funerale. «Mio padre - lo ricorda il figlio Silvano - ha sempre partecipato a tutte le cerimonie alpine per commemorare l’affondamento del Galilea. Ci teneva a presenziare non per farsi vedere, mio padre odiava la guerra e per lui esserci significava testimoniare proprio gli orrori dei conflitti. Soffriva nel vedersi solo e ultimo testimone del Galilea. Sentiva il peso dei 1050 morti che voleva ricordare con la sua persona». Quel tragico affondamento sul piroscafo di rientro dalla Grecia fu un evento drammatico che lo segnò per tutta la vita: per il senso del dovere quando partecipava alle cerimonie ufficiali, così come negli incubi notturni che lo turbavano ricordando gli amici alpini che ha visto affogare. Onorino Pietrobon è stato uno dei 279 superstiti tra cui i 205 alpini dopo l’affondamento della nave militare Galilea, colpita dal siluro inglese. Onorino trascorse ore sul ponte della nave, riuscendo a resistere alla disperazione e intuendo quale fosse il momento di abbandonare la nave. Ci provò per tre volte, risospinto dalle onde. All’ultimo tentativo riuscì ad allontanarsi dal relitto, evitando di essere risucchiato dalle eliche. Rimase naufrago tutta la notte. Devoto a Sant’Antonio, fu alla fede e alle braccia di agricoltore che Onorino fece affidamento in quelle ore: rimase aggrappato a una zattera tutta la notte fino all’arrivo all’alba del cacciatorpediniere Antonio Mosto che lo trasse in salvo.

 

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Il Gazzettino