L'hotel che non ha mai chiuso durante il lockdown: "Una prova durissima"

Francesco De Felice, direttore del Best Western di Pordenone
PORDENONE - Se fino a un anno fa la scelta di un albergo poteva...

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PORDENONE - Se fino a un anno fa la scelta di un albergo poteva essere condizionata dalla disponibilità di piscina, sauna e wellness, dopo il Covid tutto è cambiato, e ora a beneficio dei clienti arriva l’assicurazione medica che copre ogni cura per tutto il periodo del soggiorno. Un piccolo lusso da post-pandemia, del settore alberghiero adottato anche a Pordenone dal Best Western Plus Park Hotel. L’albergo in questi mesi non ha chiuso neppure per un giorno. Una scelta antieconomica, visto che ai mancati ricavi si sono aggiunti i costi di gestione. «Abbiamo deciso di tenere aperto inizialmente perché alcune persone avevano necessità di trovare alloggio in città per proseguire delle cure mediche. Mi sentivo in difficoltà morale a negare una camera a queste persone. Questa è stata la principale motivazione» spiega Francesco De Felice, direttore della struttura. «Certo non mi aspettavo una devastazione di tale portata. Tenere aperto è stato possibile anche perché i miei collaboratori me ne hanno dato la disponibilità, è stata una scelta fatta nel rispetto di tutto lo staff». Quanto ha pesato il lockdown? «Facendo una comparazione tra 2019 e 2020 i mancati ricavi a oggi ammontano a 645mila euro. Il dato più impressionante sono i dati relativi a marzo, aprile, maggio, in cui abbiamo perso circa 500mila euro. In percentuale parliamo del -93% a marzo, -97% ad aprile e -90% a maggio». Come avete gestito l’emergenza finanziaria rispetto ai dipendenti? «Il problema è sistemico. Faccio un esempio: noi abbiamo una forte asimmetria nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Dovendo garantire un ricevimento sulle 24 ore, abbiamo bisogno di personale di ricevimento quasi al completo, almeno sei persone. In questo caso accediamo all’uso del fondo di integrazione salariale, la cassa integrazione per il turismo al 25%. I problemi si pongono sul fronte della pulizia camere e spazi comuni, per i quali siamo arrivati al 90% di ore di cassa. Durante il lockdown lavorava una persona su otto e con orario ridotto a tre ore. Il problema è lo strumento che nasce per garantire equità tra lavoratori, ma che poi va applicato per reparto. Se gli ammortizzatori fossero legati alla produzione dell’azienda sarebbe molto diverso, verrebbe valutata rispetto alla reale perdita o necessità dell’azienda». Vale a dire che a fronte di chi fa uno sforzo, c’è chi invece sta abusando dello strumento? «Temo di sì. Guardo a chi sta rischiando tutto pur di mantenere aperto, a fronte di scelte molto diverse, specialmente in altri settori industriali». Lo rifareste? «Credo di sì per diverse ragioni. Tra cui il fatto che adattarsi a tutta la complessa trafila delle procedure di sicurezza è stato un lavoro di mesi. Noi siamo fortunati perché già da aprile abbiamo iniziato a ricevere indicazioni, le linee guida Oms e quelle della nostra cooperativa Best Western Italia. Da questo punto di vista, il lavoro fatto dalla nostra catena è stato molto interessante. E per noi aver tenuto aperto a ridottissima clientela ci ha fatto lavorare in questa direzione». C’è una ripartenza dei flussi turistici? «Da qualche settimana stiamo iniziando a recuperare, ma siamo ancora ben al di sotto della nostra sostenibilità. Il gap di quei tre mesi sarà irrecuperabile. Stiamo lavorando sul mercato italiano e abbiamo visto che inizia a manifestarsi un turismo del tutto inedito, il cicloturismo, persone over 60 che si muovono in bici. L’occupazione camere è incerta e imprevedibile, cresce in giornata. Le assenze pesanti però sono i clienti business. Noi abbiamo un’occupazione settimanale delle camere ridotta. Ma non siamo rappresentativi. Ci sono strutture anche che scelgono di lavorare solo infrasettimanalmente e chiudono nel week end».
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Il Gazzettino