Scienziato di Fortogna studia il Covid ad Oxford

Il laboratorio XChem dove lavora il longaronese Marco Mazzorana (Courtesy of Diamond Light Source)
BELLUNO - «Rimaniamo con i piedi per terra, stiamo lavorando su molti fronti per sconfiggere COVID-19» chiarisce lo scienziato di Fortogna di Longarone Marco Mazzorana...

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BELLUNO - «Rimaniamo con i piedi per terra, stiamo lavorando su molti fronti per sconfiggere COVID-19» chiarisce lo scienziato di Fortogna di Longarone Marco Mazzorana che fa parte del gruppo di lavoro dell’acceleratore di particelle di Oxford che analizza la struttura tridimensionale delle proteine. Quello che lui è i suoi colleghi stanno facendo potrebbe però velocizzare il processo che porterà ad individuare una cura al coronavirus. Mazzorana lavora al sincrotrone Diamond Light Source, un centro di ricerca all’avanguardia che produce raggi X per lo studio di vari materiali tra cui le proteine.



«Utilizziamo questa luce - spiega - per effettuare esperimenti scientifici. I raggi X che vengono prodotti vengono poi diretti sul campione e la posizione degli atomi ricavata in modo indiretto attraverso calcoli matematici». Molti esperimenti possono essere condotti in remoto e questo ha permesso a Mazzorana e colleghi di continuare a lavorare anche in tempi di restrizione. «Le raccolte dati avvengono in modo molto veloce. Abbiamo raccolto i campioni dalle università attive in questa ricerca e abbiamo fatto richiesta a tutti i gruppi interessati a sviluppare progetti su Covid-19 mettendo loro a disposizione la macchina. Nell’ambito di macromolecole siamo tra i primi ad aver offerto questi esperimenti».

«Uno degli esperimenti fatti è il lavoro con il gruppo del Dr. Martin Walsh che studia la proteasi, una proteina del virus senza la quale questo non è in grado di funzionare. Noi conosciamo la sua struttura attraverso gli esperimenti al sincrotrone. La proteasi, una sorta di forbice molecolare, taglia una proteina più grande prodotta dal virus. Senza l’azione della proteasi la proteina virale non è attiva rendendo il virus inerme». A quel punto l’obiettivo del gruppo di lavoro è diventato quello di trovare un sistema in grado di bloccare la forbice. «L’obiettivo che ci siamo posti è stato proprio quello di bloccare la proteasi. Il metodo consolidato è quello di ricercare le molecole chimiche che si uniscono con la proteina per comprendere l’interazione atomica tra proteina e farmaco. È una tecnica consolidata ma richiede una fase di affinamento che solitamente procede per cicli di esperimenti. Quello che facciamo è avere un approccio diverso. Al posto di testare una molecola complessa, come lo sono i farmaci già esistenti, ne prendiamo solo dei frammenti, quali suoi componenti essenziali. Frammenti che leghino la proteina di interesse possono essere poi combinate in molecole più complesse nella direzione di un vero e proprio farmaco».  


E i risultati sono arrivati, ovviamente. «Dei 1500 frammenti analizzati con la piattaforma XChem, unica del suo genere, il team di Diamond ha accelerato il lavoro di anni di esperimenti in poche settimane, identificandone 66 posizionati in modo corretto. Adesso si tratta di fare uno sforzo più dal punto di vista chimico, per costruire un set di composti a partire dai frammenti che potrebbero dimostrarsi validi per bloccare l’attività della proteasi. Il processo è ancora lungo. Quando verrà individuata una molecola capace di bloccare l’attività della proteasi bisognerà valutarne altri parametri come la tossicità e l’efficacia nel bloccare il virus. Insomma siamo sulla strada giusta ma siamo anche consapevoli che potrebbe non essere una via breve». Ciò che è certo è che se la cura definitiva al coronavirus verrà dal contributo dell’acceleratore di Oxford, ma fin d’ora Longarone può vantare un concittadino che ha lavora in prima linea per trovare la soluzione a questa epidemia.  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino