L'infettivologo Crapis: «Il nemico è tornato, ma siamo armati. No a lockdown totali, "isolare" gli anziani»

L'infettivologo Massimo Crapis
PORDENONE - Il virus, cioè il nemico, che è sempre un generale e non è stato retrocesso a soldato semplice. È da considerarsi armato e pericoloso, come...

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PORDENONE - Il virus, cioè il nemico, che è sempre un generale e non è stato retrocesso a soldato semplice. È da considerarsi armato e pericoloso, come nelle taglie del vecchio West. Le origini della seconda ondata, le misure di contenimento, i suggerimenti di chi vive e lavora per studiarli e batterli, i virus. E un’idea: «Un sistema di blocchi per fasce d’età, che in casi estremi fermi la circolazione e i contatti dei cittadini sopra i 60-65 anni». Cioè praticamente gli unici che di Covid rischiano seriamente di morire. È la fotografia scattata dall’infettivologo Massimo Crapis, il massimo esperto di Coronavirus del Pordenonese. 


L’ISTANTANEA
«La guerra è ricominciata - l’analisi di Crapis inizia così - e il nemico è lo stesso della scorsa primavera. Il virus non è mutato, porta in ospedale circa il 20 per cento dei contagiati tra i 50 e i 60 anni. Ma io mi aspettavo che questo picco arrivasse più tardi, tra novembre e dicembre. Il Covid ha giocato d’anticipo e ci ha sorpresi». Un secondo “incendio” nato da una miccia accesa mesi fa, con il caldo. «L’innesco è avvenuto d’estate, nel periodo delle ferie. Allora l’età media dei contagiati era di 30 anni, ma ora si sta rapidamente alzando, sintomo che dai giovani il virus si è trasferito ai familiari. Ora devono essere rinforzate le misure di distanziamento sociale». Gli effetti della seconda ondata iniziano a farsi sentire anche sul sistema ospedaliero del Friuli Venezia Giulia, che è ben attrezzato ma che assiste a un incremento dei ricoveri. «Quello che è successo martedì (quando sono raddoppiati i malati gravi in poche ore, passando da cinque a dieci e successivamente a undici, ndr) è un brutto segnale - ammonisce Crapis - perché anche la prima volta (a fine inverno, ndr) era andata così». Il team diretto dall’esperto Pordenonese in questi giorni “fa gola” anche a Udine, tanto che l’Azienda sanitaria del Friuli centrale ha chiesto che alcuni membri della squadra siano spostati all’ospedale Santa Maria della Misericordia. Non preoccupa - al momento - l’occupazione dei letti in Terapia intensiva, quanto un’eventuale impennata dei ricoveri ordinari, correlata alla necessità di trovare ampi spazi nei reparti di Malattie infettive, con conseguenze “invalidanti” sugli ospedali della regione. Un tema caldo, che rischia di diventare bollente. 
IL CONFRONTO
«Ho sentito qualcuno che paragona la situazione attuale con quella di marzo - prosegue Crapis - ma si tratta di un errore. Semmai siamo vicini a fino aprile, quando la curva era più piegata. E tra l’altro rispetto a quel periodo è migliorato in modo esponenziale lo sforzo legato al tracciamento. Si facevano tamponi solamente ai casi conclamati, mentre oggi siamo sul territorio a cercare il virus». 
LE CONTROMISURE


«Il Coronavirus - è la conclusione a cui arriva l’infettivologo pordenonese - ha un tasso di mortalità dello 0,9 per cento tra i 40 e i 60 anni di età, una percentuale che scende ancora al di sotto dei 40 anni. Ma dai 60 anni in poi, la mortalità sale vertiginosamente sino a toccare il 20 per cento dei casi. Per questo, se io fossi chiamato a decidere, non sceglierei mai un lockdown totale, che ha un impatto negativo sull’economia superiore a quello positivo sulla curva epidemica. Preferirei un blocco per fasce d’età, focalizzato sulla protezione dei più anziani. Ma questo solamente se la situazione dovesse precipitare». Eventualità che i soldati “alleati” della guerra alla tirannia del Covid cercano di evitare a tutti i costi. 

 

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Il Gazzettino