Francesco canonizza sei nuovi beati, di cui quattro italiani,senza risparmio al servizio degli ultimi I pastori della Chiesa devono essere buoni pastori, capaci di radunare dalla...
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«L'esempio dei quattro santi italiani, nati nelle province di Vicenza, Napoli, Cosenza e Rimini, - ha detto il Papa prima di recitare l'Angelus sul sagrato di San Pietro, al termine della messa di canonizzazione - aiuti il caro popolo italiano a ravvivare lo spirito di collaborazione e di concordia per il bene comune e a guardare con speranza al futuro, in unità, confidando nella vicinanza di Dio che mai abbandona, anche nei momenti difficili».
I quattro nuovi santi italiani proclamati oggi da papa Francesco sono Giovanni Antonio Farina (1803-1888), nato a Gambellara, in provincia di Vicenza; Ludovico da Casoria, al secolo Arcangelo Palmentieri, nato a Casoria, in provincia di Napoli (1814-1885); Nicola da Longobardi, al secolo Giovanni Battista Clemente Saggio, nato a Longobardi, presso Cosenza (1650-1709); Amato Ronconi, nato a Saludecio, presso Rimini
Nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo, Francesco ha canonizza anche Kuriakose Elias Chavara della Sacra Famiglia (1805-1871), Eufrasia Eluvathingal del Sacro Cuore (1877-1952).
Il Papa ha preso spunto dalle letture del giorno per ricordare «come Gesù ha realizzato il suo regno; come lo realizza nel divenire della storia; e che cosa chiede a noi. Anzitutto, come Gesù ha realizzato il regno: lo ha fatto con la vicinanza e la tenerezza verso di noi. Egli è il Pastore».
Il Papa ha puntato l'attenzione sulla «premura e l'amore del pastore verso il suo gregge: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere.
Tutti questi atteggiamenti - ha detto - sono diventati realtà in Gesù Cristo: Lui è davvero il 'pastore grande delle pecore e custode delle nostre animè». Ricorda Francesco che «Gesù non è un re alla maniera di questo mondo: per lui regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a lui, perché si compia il suo disegno d'amore e di salvezza. Così c'è piena reciprocità tra il Padre e il Figlio. Dunque il tempo del regno di Cristo è il lungo tempo della sottomissione di tutto al Figlio e della consegna di tutto al Padre».
Vicinanza e tenerezza sono le regole di vita, ha esortato il Pontefice. «Il Vangelo ci dice che cosa il regno di Gesù chiede a noi: ci ricorda che la vicinanza e la tenerezza sono la regola di vita anche per noi, e su questo saremo giudicati. La salvezza non comincia dalla confessione della regalità di Cristo, ma dall'imitazione delle opere di misericordia mediante le quali lui ha realizzato il regno. Chi le compie - osserva il Papa - dimostra di avere accolto la regalità di Gesù, perché ha fatto spazio nel suo cuore alla carità di Dio. Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall'una o dall'altra parte.
Gesù, con la sua vittoria, ci ha aperto il suo regno, ma sta a ciascuno di noi entrarvi, già a partire da questa vita, facendoci concretamente prossimo al fratello che chiede pane, vestito, accoglienza, solidarietà». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino