Con le sue 141 udienze e gli oltre cinque anni di durata, il processo a Nicola Cosentino è stato, tra quelli con un unico imputato e un'unica imputazione, tra i...
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Al termine dell'udienza, mentre il pm Alessandro Milita, visibilmente sollevato, ha spiegato che «questo è tra i processi più importanti per la Dda», l'avvocato di Cosentino, Agostino De Caro, ha invece affermato polemicamente che «questo è tra i processi in cui si è giudicato un fenomeno; i fatti penalmente rilevanti non sono emersi». La Dda di Napoli ha individuato nell'ex sottosegretario all'Economia del Pdl il «referente politico nazionale del clan dei Casalesi», colui che dal 1980 fin quasi ai giorni nostri avrebbe stretto un patto di ferro con i capi del clan per ottenere i voti alle varie elezioni fornendo in cambio un contributo stabile alle cosche; Milita ha parlato di una «disponibilità omnibus» di Cosentino, ovvero duratura e aperta ad ogni tipo di favore. L'accusa, dunque, si basava sul presunto patto politico-mafioso tra Cosentino e il clan, peraltro mai dimostrato nella sua genesi in quanto i capiclan, da Schiavone a Bidognetti passando per Zagaria, non sono mai stati sentiti; non è stato ascoltato neanche Antonio Iovine, unico tra i boss ad essersi pentito. Di contro, alcuni dei circa 20 collaboratori ascoltati, come Dario De Simone e Domenico Frascogna, hanno confermato il sostegno elettorale del clan, ma nessuno ha indicato con precisione le elezioni in cui l'appoggio sarebbe avvenuto.
La difesa ha spiegato che Cosentino, alle Politiche, si è sempre candidato in un collegio dell'Alto Casertano, che non comprendeva dunque il suo comune di nascita di Casal di Principe.
Il Gazzettino