Auto, è caos sulla transizione verso l'elettrico. «Serve ripensamento, così si aggrava la crisi»

Bonomi: «Così chiudono interi pezzi di filiera, per i posti di lavoro persi citofonare a Giovannini»

Auto, è caos sulla transizione verso l'elettrico. «Serve ripensamento, così si aggrava la crisi»
La transizione energetica sta turbando il mondo dell’auto. Soprattutto in Europa. D’altro canto, era intuibile che la decarbonizzazione non si sarebbe limitata a...

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La transizione energetica sta turbando il mondo dell’auto. Soprattutto in Europa. D’altro canto, era intuibile che la decarbonizzazione non si sarebbe limitata a cambiare il tipo di vetture, da quelle col motore a scoppio alle eredi equipaggiate con il propulsore silenzioso e le batterie. La vigorosa svolta avrebbe strizzato sia il mercato che l’industria, mettendo pressione ad un settore che si era un po’ addormentato. Cambiano i prezzi dei veicoli, sono più cari per remunerare i costi degli accumulatori, specialmente in questa fase embrionale. Sono stravolte le fabbriche che devono presentarsi con un layout rivisto per sfornare celle e moduli invece di cambi di velocità e differenziali. 

Questi cambiamenti daranno un diverso format anche all’occupazione. Come sarà il conto a consuntivo? Riusciremo a conservare i posti di lavoro? Nessuno lo sa. Ma, visto che l’elettrificazione della mobilità è una strada senza ritorno, è giusto cominciare a fare i conti con le sue conseguenze.

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NON SOLO CO2
Muovendosi in questo magma, i costruttori hanno deciso di rimodellare se stessi perché era troppo antiquato l’approccio che ha funzionato per decenni. Il problema di abbattere la CO2, sia chiaro, è solo la punta dell’iceberg. Sono arrivate a valanga la digitalizzazione, la connettività, l’intelligenza artificiale fino alla guida autonoma, temi che richiedono investimenti ciclopici ed una forza lavoro indubbiamente più qualificata dal punto di vista tecnologico. L’automotive, da settore maturo è tonata ad essere apripista, con tante start up e quotazioni in Borsa che drenano ingenti capitali. Cosa sta accadendo ora? Prendiamo l’Europa, l’area geografica che è andata in fuga riprendendosi la leadership sulla Cina. I costruttori dell’Unione sono i più antichi e prestigiosi, c’era da immaginarselo che avrebbero dato un vigoroso colpo di coda. Nel Continente, già a settembre, abbiamo perso 3 milioni di auto rispetto a prima della pandemia, che diventeranno 4 milioni a fine 2021. Tutta colpa della carenza di microprocessori? Lo credono in molti, ma non è così.

IL NUOVO SCENARIO
L’industria, pur subendo qualche difficoltà con la catena dei fornitori, ha deciso i tagli per concentrarsi sul nuovo scenario e, soprattutto, adeguare l’offerta alla domanda. Con questa cura da cavallo i conti sono stati messi in salvo e i risultati finanziari viaggiano su livelli record. A frenare la domanda è stata la “comunicazione”. 
L’arrivo della nuova mobilità è infatti calata in profondità nella mente dei consumatori che distinguono meglio di ogni altro cosa è vecchio e cosa è il domani e non sono più entusiasti dei veicoli di vecchia generazione nonostante il nuovo non sia pronto. C’è l’impressione che, in un periodo transitorio, dovremo abituarci a numeri di vendita decisamente inferiori.

Questa settimana Oliver Zipse, numero uno di BMW, è stato confermato alla guida della Acea e, come primo atto ufficiale ma scontato, ha ricordato che il 2022 sarà un anno decisivo per l’automotive europea. Dovranno essere stabiliti i nuovi limiti di emissioni che, insieme alla installazione di una rete di ricarica per auto elettriche adeguata, scandirà la velocità del cambiamento. Da noi, all’insicurezza generale si unisce una confusione tipicamente made in Italy, visto che non abbiamo certo brillato per un piano strategico, facendo chiarezza sulle colonnine e sugli ecobonus: siamo però stati fra i primi a stabilire i target a lungo termine.


Il Cite, intanto, ha deciso: il passaggio di consegne dei motori a combustione a quelli elettrici avverrà nel 2035 per le auto e nel 2040 per i “commerciali”. Molto critico il presidente di Confindustria Carlo Bonomi: «Per i posti di lavoro che si perderanno ci rivolgeremo a Giovannini...». A sua volta l’Anfia ha evidenziato che la materia è complessa e non basta fare annunci di principio. Esattamente le stesse parole che i ministri presenti nel Cite hanno usato nelle loro dichiarazioni. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino