Nelle mani dei giudici d'appello il contenzioso che scuote Marostica

Giuliano Stefani e la protesta in catene davanti al municipio
MAROSTICA - La storia che si trascina da 15 anni potrebbe essere alla svolta. Si tratta dell'annosa questione del quartiere San Benedetto e del contenzioso tra residenti,...

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MAROSTICA - La storia che si trascina da 15 anni potrebbe essere alla svolta. Si tratta dell'annosa questione del quartiere San Benedetto e del contenzioso tra residenti, Ater e Comune. Oggetto del contendere, le spese per la manutenzione di "parti comuni" addossate agli inquilini o proprietari, ma da questi ritenute non a loro carico. Da anni la situazione sta lì, tra feroci polemiche, ora si attende la pronuncia della Corte d'Appello di Venezia alla quale è stata chiesta la revocazione di una sentenza che diede torto ai residenti.




Ma Albino Azzolin, Renata Baggio, Mirella Merlo, Angelo Scalcon e il loro portavoce Giuliano Stefani, autore di una lunga battaglia e di attacchi alla classe politica comunale di questi anni che secondo lui non ha voluto risolvere il caso, ora si aspettano chiarezza in una storia con molte zone d'ombra. Gli avvocati Gheno e Salvagno, che patrocinano i ricorrenti, ricordano che la sentenza 1300/2012 conteneva un errore di fatto: i giudici ritennero "erroneamente sulla base di una dichiarazione dell'ente gestore della rete fognaria (Etra) l'esistenza di un impianto di fognatura privato ad uso condominiale", mentre la relazione del tecnico incaricato diceva invece l'esatto contrario. In sostanza, sostengono i due legali, tutto nacque "dalla illegittima costituzione di un Supercondominio tra i nove edifici di edilizia popolare", quando nel 1988 il Comune di Marostica davanti al notaio fece una convenzione con l'allora Iacp, oggi Ater, concedendo il diritto di superficie per 99 anni su cui si eressero i fabbricati, "ciascuno autonomo indipendente e autosufficiente". Non ci furono mai proprietà in comunione o parti comuni: l'area è di proprietà comunale e così anche i sottoservizi, come asserito da una certificazione del Comune, e quindi "non possono costituire patrimonio condominiale".



Ne deriva che il Supercondominio costituito, costato molto ai residenti, non aveva ragione di essere. I due avvocati si soffermano poi sul documento considerato dai giudici centrale per definire la natura delle aree, nella lettera dell'Etra definite private. Affermazione falsa però, sostengono i legali, e poi Etra non è un ente titolato ad attestare la proprietà di un'area. In più quella lettera (che peraltro era stata scartata come prova nel processo in primo grado) è "priva di data, priva di protocollo, priva di firma e non rinvenuta agli atti dal dirigente responsabile". In sostanza ha tutte le sembianze di un documento-ciofeca. Inoltre si cita la convenzione che addossava allo Iacp ora Ater i costi di manutenzione delle aree per tutta la durata del diritto di superficie. "Ater invece non ha mai mantenuto l'area e con gli atti di vendita ai possessori degli alloggi - scrivono Gheno e Salvagno - ha illegittimamente preteso di scaricare su proprietari e inquilini tali obblighi... Ma l'asserito trasferimento degli obblighi in capo ai condomini non è legittimo perché eseguito senza la preventiva autorizzazione del Comune, né è stato da questo mai ratificato".



Così il Supercondominio ha continuato ad "addebitare ai singoli condomini i costi per la manutenzione del verde e lo spurgo delle fognature, pur trattandosi di beni comunali e non condominiali". Si aggiunga che misteriosamente negli archivi comunali non si è trovato, da parte del Ctu, alcun documento relativo agli immobili in questione, e in Urbanistica non vi erano le pratiche relative. Evaporate?



Da parte degli avvocati della parte avversa, Manera e Peronato, si chiede invece di confermare la sentenza del 2012. Principalmente perchè "non risponde a verità che l'esistenza della convenzione tra Comune e Quartiere non fosse nota... Il documento risulta essere già stato depositato nel corso del giudizio di primo grado e venne poi successivamente richiamato nel ricorso in appello". Inammissibile quindi la richiesta degli attori, perchè il documento era già noto ai giudici.



Si precisa poi che la proprietà comunale dell'area era "fatto ben noto a tutte le parti". Destituita di fondamento viene definita l'inesistenza di una fognatura comune a tutte le palazzine, citando la relazione del Ctu, "e ciò vale di per sé a giustificare la costituzione del Supercondominio".



Questo un punto nodale del contendere: da parte Ater si sostiene che le delibere condominiali furono del tutto regolari, da parte dei ricorrenti invece si sottolinea che non esistendo "impianti o servizi comuni" il Supercondominio fu illegittimamente istituito e di conseguenza tutte le delibere, sia per la costituzione sia per la gestione di beni non condominiali, "sono nulle e impugnabili in ogni tempo".



Un contenzioso che in quasi 15 anni ha fatto crescere la massa di soldi in ballo, usciti dalle tasche dei residenti. Ora la Corte d'Appello metterà la parola fine?

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Il Gazzettino