Cacciari su Napolitano: «Quando fu rieletto al Quirinale quegli sciagurati lo applaudivano dopo che li aveva frustati»

Sabato 23 Settembre 2023 di Alda Vanzan
Massimo Cacciari e Giorgio Napolitano

Professor Massimo Cacciari, quando ha conosciuto Giorgio Napolitano?
«Più di cinquant'anni fa, direi nel 1968.

Di lui mi colpirono l'intelligenza, la cultura. E nacque un rapporto di grande amicizia. Napolitano è stato una personalità politica di enorme rilievo, ha rappresentato un pezzo della storia della sinistra italiana ed europea, ha ricoperto incarichi importantissimi anche nel Parlamento europeo. Un leader riconosciuto che per tutta la vita ha lavorato per tentare di unire su un programma socialdemocratico e riformista serio la sinistra italiana».


Con chi si rapportava?
«Interloquiva con tutte le persone che riteneva, all'interno della sinistra italiana, avessero qualcosa da dire, non si confrontava soltanto con quelli della sua "corrente", all'epoca Gerardo Chiaromonte e prima ancora Giorgio Amendola. Grande tradizione liberale e meridionale che poi si era ritrovata per vari destini e varie situazioni nel Partito Comunista».


Che comunista era?
«Al Partito Comunista ha sempre appartenuto con grande lealtà, ma sempre con grande chiarezza e difendendo le sue idee. Anche nei confronti di Enrico Berlinguer. Ma parlava anche con quelli che, diciamo così, erano alla sua "sinistra". E con gli studenti del Movimento. Da lì è nata una grande amicizia e una grande stima. Non che all'epoca fossimo d'accordo, anche se poi, negli ultimi decenni della nostra vita, c'è stata davvero intesa».


Com'erano i vostri confronti?
«Era una persona che diceva chiaramente cosa pensava, ti guardava dritto negli occhi, diceva se era o se non era d'accordo. Cercava anche di farti "fuori", eh, perché la battaglia politica era una cosa seria, sulle idee naturalmente».


Giugno 1997, lei sindaco, Napolitano ministro dell'interno, a Venezia l'incontro con una ventina di amministratori locali per fargli presente il «disagio» del Nordest.
«È venuto talmente tante di quelle volte a Venezia, chi se le ricorda più. Come ministro, come parlamentare, come deputato europeo, poi presidente della Repubblica. Ma a Venezia veniva anche perché qui aveva il suo amico e braccio destro Gianni Pellicani e poi il sottoscritto, tantissimi altri amici, era amicissimo del compositore Luigi Nono. Mi ricordo che fece un bellissimo articolo che pubblicammo su una rivista del regionale del partito per i 50 anni di Gigi, nel 1974».


Il suo più grande rammarico?
«Uno? Infiniti rammarichi. Non riuscì a portare il Partito Comunista e poi nemmeno il Partito Democratico della Sinistra su un tentativo concreto di intesa con la parte socialista della sciagurata sinistra italiana. Poi non riuscì mai, di fatto, ad avere un ruolo efficace nel Pds. In quegli anni lavorò soprattutto al Parlamento Europeo, poi come ministro, fino ad arrivare al Quirinale. Il suo rammarico per le sorti del Partito Democratico e della sinistra italiana era abbastanza palese. Per non dire dell'incapacità della politica italiana di rinnovarsi».


Si riferisce al discorso alla Camera quando venne rieletto Capo dello Stato?
«E quegli sciagurati che lo applaudivano dopo che li aveva presi a frustate. Ragioni di amarezza ne ha avute tante, malgrado le grandi soddisfazioni personali».


Se un giovane volesse avvicinarsi alla politica, cosa dovrebbe leggere di Giorgio Napolitano?
«La sua autobiografia, uscita per Laterza nel 2005, venne a Mestre a presentarla. Una delle poche autobiografie di politici davvero pensata, critica e autocritica».


Davvero non si aspettava di essere eletto presidente della Repubblica nel 2006?
«Andai a prenderlo con la mia macchinetta all'aeroporto, lui doveva tenere l'orazione al funerale di Pellicani, discutemmo delle prospettive presidenziali. Gli dissi: Giorgio, non si metteranno d'accordo, vedrai che toccherà a te. Lui si mise a ridere: "Ma neanche per sogno". Dopo venti giorni l'elezione».

Ultimo aggiornamento: 24 Settembre, 09:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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