«Riportatemi a casa». Le ceneri in Cadore dalla cella negli Usa

Pino Lo Porto è morto in un carcere dell’Alabama gridando la sua innocenza

Giovedì 8 Febbraio 2024 di Olivia Bonetti
Giuseppe Pino Lo Porto e la sua estrema unzione

PIEVE DI CADORE - «Riportami a casa.

Se non riesci a portarmi a casa vivo, riportami almeno morto». Lo ripeteva spesso Giuseppe Lo Porto detto “Pino” al suo avvocato Luciano Faraon, referente dell’Associazione internazionale vittime errori giudiziari, che da 26 anni gli stava accanto nella sua battaglia. Quella casa è Pieve di Cadore, il comune dove era residente da anni e dove stava andando al voto per le amministrative nel 2012 quando gli strinsero le manette ai polsi e lo portarono in un carcere in Alabama negli Stati Uniti. Da allora non è più uscito, condannato a due ergastoli, nonostante abbia urlato la sua innocenza in tutti i modi.


LA MORTE
«Giuseppe Lo Porto - sottolinea l’avvocato Faraon - è morto in carcere da innocente negli Usa nonostante sia stata annullata definitivamente il decreto di estradizione». Ma Pino, classe 1933 che fin da quando è stato arrestato aveva diversi problemi di salute, ha lottato con la tempra di un leone. Ha combattuto sempre. Ma alla fine non ce l’ha fatta a ritornare in Italia da vivo: è morto il 4 novembre scorso. E riportarlo a casa anche da morto non è stato facile: la burocrazia infinita e le difficoltà hanno fatto passare mesi. Finalmente lunedì 5 febbraio le sue ceneri sono arrivate all’aeroporto Malpensa di Milano nel pacco con la scritta “resti umani”. Ad attenderlo c’era l’amico-avvocato Luciano Faraon: «Il pacco con le ceneri dimostra come è stata ridotta una persona da questo macro-errore giudiziario». L’urna cineraria di Pino troverà posto in un loculo a Pieve di Cadore già destinato dal Comune.


LA TEMPRA
«Non so come abbia fatto a sopravvivere per tutti questi anni». Dice ancora provato dalla perdita dell’amico l’avvocato Luciano Faraon, con studio legale a Spinea da sempre impegnato nella lotta contro gli errori giudiziari. E il caso di Lo Porto rimane un cruccio grandissimo. «Ho provato fino all’ultimo - non si dà pace il legale - e sembrava più volte possibile, ma poi...». Lo Porto aveva quasi 79 anni quando venne arrestato nel maggio del 2012 per una complessa vicenda giudiziaria: su di lui pendeva una richiesta di estradizione dello stato dell’Alabama in merito a una vicenda di molestie sessuali nei confronti della figliastra. Oltre ad essere già in età avanzata era anche gravemente malato: aveva problemi cardiaci, il suo cuore era aiutato da un pacemaker e problemi anche alla prostata. Ciononostante venne sbattuto in cella nella prigione della contea di Baldwin in Alabama: e lì rimase per 11 anni fino alla sua morte avvenuta a novembre per problemi cardiaci nell’ospedale dell’istituto penitenziario. In questi 11 anni ha dovuto sopravvivere nell’ambiente duro del carcere, con le sole visite degli addetti consolari (il grazie dell’avvocato va al console onorario David Gratta) e le telefonate dell’amico avvocato e della nipote Nadia che risiede a Toronto e con cui aveva un bellissimo rapporto.


LA FEDE
Lo Porto era credente e quando ha sentito che ormai erano gli ultimi giorni ha chiesto e ottenuto il sacramento dell’estrema unzione. Le sue ultime volontà sono contenute nel testamento fatto in carcere consegnato all’amico avvocato: oltre alla richiesta specifica di tornare a casa, almeno da morto, quella di devolvere i suoi beni al Centro Beata Maria Bolognesi Onlus di Rovigo e alle nipoti. Ed ora c’è una causa in corso per chiedere i danni allo Stato italiano per 7 milioni di euro. «L’unico torto di Pino - sottolinea l’avvocato - è quello di aver scritto il libro “L’altra faccia dell’America”. Non aveva commesso alcun reato: aveva solo il torto di aver lavorato per l’esercito e conoscere tante cose e avere 3 milioni di euro in conto».


LA CERIMONIA
«Io non sono riuscito a portare in Italia vivo Giuseppe Lo Porto e lo Stato Italiano lo ha condannato a morte», ripete il legale. Ma all’amico vuole assicurare una cerimonia d’addio nel paese a cui Lo Porto era legatissimo: Pieve di Cadore. «Un comune - ricorda l’avvocato Faraon - che gli aveva ripristinato la residenza dopo la sentenza del consiglio di Stato ha annullato l’estradizione (era il 2019 ndr)». Sono già stati presi contatti con il sindaco Sindi Manushi, che è anche avvocato e ha preso a cuore la causa di Lo Porto. Ora gli ultimi dettagli con il parroco di Pieve di Cadore e poi la cerimonia funebre la prossima settimana.
 

Ultimo aggiornamento: 9 Febbraio, 12:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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