Guardiola auguri: l’allenatore che ha rivoluzionato il calcio spegne 50 candeline

Lunedì 18 Gennaio 2021
Video

di Benedetto Saccà

a cura di Cristiano Sala

Pep Guardiola festeggia i 50 anni.

Ma dai, no... E invece. Così giovane e ha già rivoluzionato il calcio. Ci credereste? Così grande da aver frantumato ogni timida ipotesi di concorrenza. Così pazzamente visionario da aver brutalmente scomposto una frattura spazio-temporale di un miliardo di secoli rispetto ai suoi colleghi. E pure chiamarli «colleghi» è già tanto, anzi, andremo a dire, verosimilmente troppo... Ma Pep è Pep; e chi non lo ammette è invidioso. Ecco. Pep frequenta il futuro da sempre, è avanti oltre ogni umano pensiero, azzera gli ottusi, annulla i mediocri, non capisce chi non lo capisce, rende disdicevole le imitazioni e viaggia con l’intelligenza a velocità stra-to-sfe-ri-ca. In due parole: un genio. Più di Sacchi, più di Cruijff, più di tutti quelli che vi vengono in mente ora e tra un’ora. 

Aveva 38 anni – va riletto bene, qualora non si fosse ben compreso: aveva 38 anni – nel 2009, quando con il Barcellona ha vinto ogni trofeo messo a disposizione sul pianeta Terra: pure il torneo di freccette al bar, deve aver vinto. E non basta, è chiaro. Perché vincere può capitare ai talenti, ma trionfare rasentando la perfezione e inventando un calcio divino¶disiaco, be’, questo succede forse solo e soltanto a Pep Guardiola. 

Per gli amanti dei numeroni, questo signore ha collezionato la folle assurdità di 29 titoli da allenatore. Tipo gli scudetti della Juve: solo che lui li ha vinti da solo. Due Champions, tre Coppe del mondo per club, tre campionati spagnoli, tre tedeschi, due inglesi. Certo, ha guidato il Bayern e ora allena il Manchester City. Ma, catalano e catalanista, Pep è e rimarrà per sempre il supereroe del Barça. L’uomo con il mantellone che alla fine risolve, sistema, aggiusta, annulla il pericolo, infligge disumane sofferenze agli avversari, rifila schiaffi psicologici da 8 chili, e fa vincere i buoni – sì, rassicura il mondo e fa vincere i buoni. 

E tutte le volte sconvolge il mondo per merito, mai per colpacci di fortuna, sempre scommettendo sul tavolo della partita tonnellate e tonnellate di eleganza, e classe, e stile. Altro livello, altra categoria. Anzi. Altro universo. Poi, d’accordo, ha allenato tipetti come Messi, Iniesta, Xavi e squadre da PlayStation 9. Però tutti sanno, e pochissimi ammettono, che Pep è un mito vivente, una leggenda disumana oltre che una persona devota a chi davvero gli faccia del bene. 

Entrando nel calcio, quasi 13 anni fa, ha montato un Vietnam vagamente simile a quello che sollevò Freddie Mercury, sbarcando nella musica negli anni Settanta. Tantissimi ammirati, molti dubbiosi, tutti ad applaudire senza capire bene cosa si vedeva, ma certi di non poterlo dimenticare mai. Il Barcellona, quel Barça, è stato in fondo in fondo la “Bohemian Rhapsody” di Pep Guardiola. Quel pianoforte là, sì. Quelle note lì, esatto. E, tanto è inutile che stiamo qui a fingere, non smetterà mai di incantare e far danzare l’universo. Nemmeno tra altri 50 anni...

Ultimo aggiornamento: 13:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA