Mezza Italia chiude per il virus ma soltanto il pallone non ci sta

Domenica 1 Marzo 2020
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Caos calcio. Il pallone rimbalza impazzito da un lato all'altro di un Paese che pure si sta abituando a convivere con un'emergenza mai conosciuta prima. Prendendone atto. Accettandone limitazioni e conseguenze. Nelle aree più calde di contagio come nei territori limitrofi maggiormente a rischio, nelle città semi-paralizzate come nelle zone produttive costrette a fare i conti con le drammatiche conseguenze economiche della crisi. Ovunque ci si adegua. Tranne che negli stadi. O, meglio, tranne che sugli spalti di quell'enorme campo di calcio che è l'Italia. Si può essere messi in quarantena anche se magari si sta benissimo; si possono chiudere scuole e università, cinema, teatri e musei, persino bar e ristoranti; si può essere costretti a non abbandonare una zona rossa e accettare di spostarsi come se si fosse in zone di guerra. Ma giocare una partita a porte chiuse, o addirittura rinviarla come poi è successo, questo no. Giù le mai dal pallone. E' cosa nostra, pensano tifosi e addetti ai lavori e ai livori. Apriti cielo. La scelta finale del rinvio soltanto degli incontri che si sarebbero dovuti disputare a porte chiuse ha diviso l'Italia più di ogni altra misura assunta in questi giorni così difficili. I tifosi dell'Inter sono segnalati in rivolta. L'allenatore del Lecce ha evocato il ritorno del lato oscuro del calcio che abbiamo provato a ripulire.

LA NOTA DEL MINISTRO Il ministro dello Sport Spadafora diffuso una nota che si apre con le parole «Comprendo la passione e l'amore per la propria squadra», per spiegare come la scelta finale fra porte chiuse e rinvio sia stata propria delle autorità sportive. La figuraccia, quando si parla di dirigenti del calcio italiano, è di default. La stessa Lega di Serie A che lunedì aveva inviato al governo una lettera in cui si chiedeva l'autorizzazione a far disputare, nei territori a rischio, partite a porte chiuse, a causa di un «calendario già saturo di impegni», una volta ottenuto il via libera, ha repentinamente cambiato idea e venerdì sera, a quanto è dato di sapere, ha rivolto allo stesso governo un'istanza opposta per ottenere il rinvio degli incontri già riprogrammati a porte chiuse. Fin dal momento in cui è esplosa l'emergenza sanitaria, si era in realtà capito che i Signori del Pallone erano contrari alla disputa di incontri senza pubblico. Non per un riguardo nei confronti dei tifosi, ma per pure esigenze economiche, per evitare di dover rimborsare i biglietti già venduti o di esporsi a iniziative legali nel caso dei club che, da contratto, escludevano di farlo. Anche se poi non è ben chiaro come si sia arrivati alla scelta dei rinvii. L'Ad dell'Inter Marotta, per esempio, si è detto subito contrario.

CAOS TOTALE Il calcio sta vivendo un week end assurdo. Succede che in Serie A non si gioca nelle zone a rischio contagio, in Serie B sì ma a porte chiuse, la Serie C è tutta interrotta, cosa che almeno consente di mantenere per tutti le stesse condizioni. Perché passare da campionato sfalsato a campionato falsato è un attimo. Non sarebbe stato poi così difficile stabilire il rinvio di tutta la giornata o la disputa di tutte le partite a porte chiuse. Soluzioni entrambe accettabili, sulla base delle indicazioni della comunità scientifica e delle autorità di governo. Invece no. Il calcio deve sempre farsi riconoscere.

Gianfranco Teotino
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