Violentata a tredici anni, condannata anche la mamma: l'ha fatta dormire nel letto con un amico e «accettato il rischio di possibili approcci sessuali»

Lunedì 9 Ottobre 2023 di Michele Milletti
Violentata a tredici anni, condannata anche la mamma: l'ha fatta dormire nel letto con un amico e «accettato il rischio di possibili approcci sessuali»
PERUGIA - Un amico di mamma. Trentenne. Un po’ più giovane rispetto alla madre, ma neanche troppo. Lei, la figlia della donna, invece di anni non ne ha ancora compiuti quattordici. Poco più che una bambina, anche se il suo corpo sta sviluppando giorno dopo giorno.
«Si fermerà a dormire qui da noi per qualche giorno» le dice la madre. Non ci sarebbe niente di male, se l’appartamento in cui vivono disponesse di un altro posto letto o se l’amico fosse un po’ “speciale” e dunque dormisse con la mamma. 
E invece no. L’amico finisce direttamente nel letto della ragazzina. E succede quello che non dovrebbe succedere. Una vicinanza troppo pericolosa, troppo continua nel tempo. Una vicinanza che la procura declina nelle ipotesi di reato di violenza sessuale e atti sessuali con minorenni. Si va a processo, e il trentenne viene condannato. Ma non finisce qui. Perché condannata finisce anche la mamma della ragazzina. Un anno e mezzo per quello che, secondo i giudici di primo grado, è stato un concorso in quella che a tutti gli effetti è una violenza sessuale nei confronti della figlia dal momento che il sesso con un minore di quattordici anni è sempre e comunque un reato.
In aula infatti emerge una forma di corrensponsabilità da parte della donna per aver permesso che l’amico trentenne e la figlia nemmeno quattordicenne dormissero uno accanto all’altro. 
La madre non si arrende però alla condanna e attraverso i suoi legali fa ricorso alla Corte d’appello. Ma le sue speranze vengono distrutte dalla sentenza dei giudici di secondo grado.
LA SENTENZA 
La sentenza n. 383/2023 deposistata lo scorso primo settembre infatti non lascia spazio a molte interpretazioni. «La condotta dell’imputata la quale non impedisca, in virtù della posizione di garanzia su di essa gravante, la consumazione del delitto di violenza sessuale in danno della figlia infraquattordicenne integra il concorso nel reato di cui agli articoli 609 bis c.p. e 609 quater c.p» ovvero proprio i reati di violenza sessuale e atti sessuali con minori.
Proseguono i giudici d’Appello: «Nella specie l’imputata, in qualità di madre convivente con la minore, non vigilando adeguatamente sulla stessa aveva dato ospitalità ad un amico nella propria abitazione acconsentendo a che questo, trentenne, condividesse il letto con figlia minore a causa delle ristrette caratteristiche della abitazione così da favorire, secondo l’id quod plerumque accidit, un approccio sessuale tra i due, considerata anche la maturità fisica della figlia nonostante i suoi quattordici anni. Comportamento, dunque, del tutto ingiustificato alla luce delle possibilità da parte della donna di rifiutare l’accoglienza domiciliare dell’uomo o della possibilità di far fruire a costui di un giaciglio differente». 
«La Corte pertanto - si legge nel notiziario penale di ottobre della Corte d’appello-Procura generale confermava la condanna emessa dal Tribunale nei confronti della donna, da un lato valorizzando sotto l’aspetto oggettivo una condotta commissiva ed omissiva dell’imputata che aveva inizialmente messo a disposizione dell’ospite il letto matrimoniale della figlia e non aveva in alcun modo impedito nel prosieguo di tempo siffatta anomala condivisione dello stesso giaciglio e, dall’altro, sotto l’aspetto soggettivo, l’accettazione del rischio da parte della donna che facendo dormire abitualmente la figlia già fisicamente sviluppata assieme ad un trentenne si verificassero tra costoro approcci di tipo sessuale, essendo prevedibile tale eventualità». 
Ultimo aggiornamento: 08:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA