Forse non è il primo, ma non importa. È la memoria collettiva ciò che conta, è il segno indelebile sull’immaginario creativo a fare la differenza.
Tra appassionati e retro-giocatori è un must, nell’iconografia moderna è il certificato di nascita della rivoluzione, e – un anno fa – per il cinquantennale è stata grande festa. Pong non è, convenzionalmente, solo il primo videogioco a diffusione di massa: è un confine culturale, è il big bang che ha dato l’avvio all’industria del gaming, nel tempo diventata intrattenimento per tutti e su tutto, ma anche scienza, arte, realismo, universo, persino stile di vita. Quando vi immergete nella dimensione “open world” di un mondo parallelo, quando “quel gol sembra fatto alla Playstation”, quando scaricate l’ultimo giochino su app per ingannare l’attesa alla fermata della metro, ecco: ringraziate Pong e pensate a un sfondo nero, a due cursori e a una pallina bianca, e a un paio di suoni ruvidi e stridenti. Grafica scarna, essenziale, così ingenua e romantica. Preistoria videoludica, che però ha fatto la storia. Gli albori dei videogiochi sono confusi: tracce negli anni ‘50, indizi concreti nel decennio successivo, le prime, vere pietre miliari negli anni ‘70. Ed è proprio il 29 novembre 1972 che viene lanciato Pong, marchio Atari, cioè la società americana sinonimo per antonomasia del videogaming prima che la giapponese Nintendo ribaltasse il tavolo.
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