Pallanuoto, Campagna, l'Italia e la ricetta Mancini: «Ai Giochi per divertirci»

Sabato 24 Luglio 2021 di Giacomo Rossetti
Pallanuoto, Campagna, l'Italia e la ricetta Mancini: «Ai Giochi per divertirci»

La pallanuoto italiana ha il volto simpatico e la mente molto acuta di Sandro Campagna. Un monumento di questo sport. Il commissario tecnico del Settebello, in procinto di iniziare il torneo di Tokyo, vuole a ogni costo conquistare l’oro olimpico da allenatore degli azzurri, trofeo che alzò al cielo da giocatore a Barcellona ’92, ma che gli è ancora sfuggito da allenatore, dopo l’argento di Londra e il bronzo di Rio.
Campagna, è la volta buona?
«Ce lo auguriamo tutti, ma davvero pensiamo a concentrarci sulla singola partita che ci aspetta».
Essere campioni del mondo in carica è una responsabilità in più?
«Non cambia nulla. Come a Gwangju vincemmo perché giocammo bene, anche qui – se ci aiutiamo con entusiasmo e scendiamo in vasca da collettivo – le aspettative non sono cambiate». 
Il calendario degli azzurri è un crescendo.
«Partiamo col Sudafrica, che è la più abbordabile, poi Grecia, Stati Uniti, Giappone e finiamo il girone con l’Ungheria, gara tosta che ci servirà a mettere a punto il nostro gioco in vista dei quarti. Ma noi questo torneo dobbiamo godercelo, l’abbiamo atteso tanto. Come hanno dimostrato Mancini e gli azzurri. L’anno scorso abbiamo fatto due mesi di collegiale nonostante non avessimo più un obiettivo. Quest’anno invece, nonostante i tanti sacrifici, i ragazzi hanno finito il campionato».
La pallanuoto è da sempre un affare tra selezioni europee, con gli atleti balcanici una spanna sopra gli altri. Il vento potrebbe cambiare?
«Gli Stati Uniti sono maturi per una medaglia. Ma ricordo che nelle ultime due edizioni delle Olimpiadi le prime quattro classificate, seppur con piazzamento diverso, sono state sempre le stesse… (Serbia, Croazia, Italia, Montenegro, ndr). 
Quali potrebbero essere i giocatori rivelazione, secondo lei?
«Ci sono diversi ragazzi americani interessanti, come i millenials Hooper e Daube, oppure Perkovic e Matkovic nel Montenegro. Le corazzate puntano sull’esperienza. Varga dell’Ungheria non lo scopriamo oggi, la Serbia poi ne ha talmente tanti: Filipovic, Petrovic…». 
E le possibili nazionali outsider?
«Il gioco del Giappone è spumeggiante: sono curioso di vedere i nipponici gareggiare a casa loro. Pure l’Australia è in grandissima crescita, l’incognita è legata al ritmo partita: sono isolati da un anno e passa per colpa del Covid e non si sono più confrontati con altre nazionali. Di sicuro arriveranno allenatissimi».
Per molti campioni, pensiamo ad Aleksandar Ivovic, questa sarà probabilmente l’ultima presenza alle Olimpiadi.
«E proprio il suo Montenegro avrà uno stimolo in più: vincere la prima medaglia dopo due quarti posti consecutivi».
Per alcuni senatori azzurri quello di Tokyo potrebbe essere l’ultima apparizione ai Giochi?
«Non è questo il momento di pensarci. Abbiamo visto che c’è stato un ottimo ricambio generazionale, a studiare il futuro ci dedicheremo poi».
La World League di Tbilisi di fine giugno scorso l’ha delusa? Cosa le ha lasciato?
«Non sono deluso. Mi sono reso conto del tipo di arbitraggio che avremo alle Olimpiadi, i fischi porteranno a un gioco diverso da quello a cui siamo abituati in Europa. Prevedo meno scontri fisici, spero che non si esageri con le espulsioni: la pallanuoto rimane uno sport dove il contatto esiste».
Lei ha vinto la medaglia d’oro olimpica con la fenomenale generazione che negli anni ‘90 conquistò il Grande Slam. Da tecnico, a quale medaglia è più legato?
«Senza dubbio Londra, fu davvero un grande argento arrivato al termine di un torneo eccezionale».
Se potesse, trasformerebbe in oro il secondo posto nel 2012 o il terzo di Rio nel 2016?
«Dico sempre il piazzamento di Londra. La Croazia era forte ma non così superiore a noi, mentre la Serbia in Brasile si dimostrò troppo forte».
Quale è il pregio dei nostri ragazzi?
«La capacità di cambiare sistema di gioco in continuazione, in base all’avversario che hanno di fronte e al tipo di partita».

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