«Non esiste, sto qui tre anni». José Mourinho lascia cadere la connessione con il Newcastle, di cui aveva parlato - creando un po’ di ansie ai tifosi giallorossi - alla vigilia di Juve-Roma.
Mourinho, legame con la Capitale
Ma stasera la partita diventa un solo un passaggio obbligato, una specie di intralcio, nella sua testa c’è il Napoli e oltre. C’è il futuro, il progetto triennale, la riconquista di quel “tempo” che gli servirà per organizzare una squadra che abbia la forza, di lottare per traguardi importanti. Per vincere non basta Mourinho e lui sa bene che serviranno investimenti veri, calciatori pronti e non - come dice spesso - una serie di ragazzi di belle speranze. La Roma che ha in testa prevede la presenza degli attuali titolari, o gran parte di loro, e la rinuncia a tutti quelli - alcuni li vedremo stasera - che fino a ora ha sempre utilizzato poco, in cambio di qualche giocatore dello stesso livello dei titolari. Una rosa più corta ma di qualità: così da avere alternative valide, per poterle gestire, senza dover puntare sempre sugli stessi, stressandoli. Il suo futuro, e quello della sua Roma, è in questo concetto, espresso proprio ieri pomeriggio in Norvegia. «Abbiamo cinque sostituzioni in panchina che qualche volta in Serie A altri allenatori possono sfruttare per cambiare la partita. Un privilegio che in campionato io non ho, ma che ho qui in Conference League». Come a dire, solo avendo una panchina forte, posso cambiare l’esito di una gara. E questo privilegio, quest’anno non ce l’ha, almeno per il campionato, che non è la Conference. Concetto espresso più volte, i Friedkin ormai lo hanno capito e a gennaio dovranno accontentarlo, almeno in buona parte. La squadra che vuole lui si costruirà in estate.
Il tempo di attesa
In sostanza, Mourinho per ora deve stringere i denti e accontentarsi, facendo il fuoco con la legna che ha. Ma da uomo d’onore non scappa, nemmeno davanti ai milioni (e investimenti) del fondo sovrano del principe saudita Bin Salman, che ha non da molto rilevato il club di Newcastle. Oggi gli tocca giocare la Conference League ma questo non è l’ambiente in cui vuole stare a lungo. «L’obiettivo è tornare in Champions, che è la coppa più importante. Poi c’è l’Europa League e quindi la Conference. Non c’è da piangere, ma da giocare anche in queste circostanze che sono difficili. Ho già giocato in condizioni simili, ma così è nuovo anche per me. Mi sembra impossibile giocare bene, non tanto per il campo artificiale, ma perché c’è un vento impossibile per fare calcio. Ma dobbiamo giocare, lottare e portare a casa qualcosa. Questa squadra è diventata una famiglia indistruttibile: non c’è sconfitta, non c’è risultato, non c’è gioco io o gioca tu. Inizio a sentire qualche tipo di commento, c’è gente preoccupata. Noi non siamo preoccupati, ma siamo anche felici di quello che stiamo costruendo». Non c’è da piangere, c’è solo da aspettare. Tempo. Quello che serve per costruire una grande Roma, con Mourinho in panchina. Tre anni, almeno. Tre anni possibilmente speciali.
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