Ma cos’è questo lampo di felicità che ci fa tremare, che ci dà forza, vita, ci riempie di un’emozione mai provata e ci porta nel paradiso di ogni appassionato di sport? C’è chi si commuove al solo pensiero. Che domenica. Non si è mai verificato un allineamento astrale simile, mai più si verificherà. Londra chiama, cari italiani, che siate di Aosta o di Ragusa, che viviate in patria o ai quattro angoli del mondo. Domani saremo lì, in 60 milioni e più, protagonisti e finalisti nei due recinti più sacri che esistano. Wimbledon e Wembley distano 15 miglia tra loro, sono i templi del tennis e del calcio mondiale, sono il Partenone e il Colosseo dello sport. E ci giochiamo dentro noi, due finali, a distanza di sei ore, con Matteo Berrettini e la Nazionale di Mancini. Ma che favola è? In alto i cuori, che scoppiano di gioia. Ci sono quelli a cui davvero parte la lacrima. E sono alcuni tra quei moltissimi, milioni e milioni di italiani, magari dai 30 anni in su, che hanno trascorso una vita affacciati ai loro televisori, prima in bianco e nero poi a colori, e vedevano (vedevamo) le grandi partite di Wembley e fantasticavamo di giocarci una grande finale dentro. O quelli che sognavano un italiano in finale a Wimbledon e non l’avevamo mai visto, ormai c’era chi giurava che non sarebbe mai accaduto. Tanti di loro, di noi, si sono portati dietro dall’infanzia l’amarezza di quella sera del 1979, quando Adriano, per tutti noi era Adriano e per il mondo Panatta, si fece battere nel quarto di finale dal belga-americano Dupré, era in vantaggio due set a uno, poi non ci fecero più vedere la partita per colpa del telegiornale e quando il collegamento tornò Adriano aveva già perso, e non abbiamo mai saputo perché. Matteo Berrettini sana una ferita antichissima, è il primo italiano in finale a Wimbledon in 144 anni.
Andrà in campo alle 2 pm degli inglesi, le tre del pomeriggio da noi, e sei ore dopo ecco i nostri azzurri nella finale dell’Europeo di calcio, e contro l’Inghilterra per giunta.
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