Catalogna, il Nobel Vargas Llosa: «Golpe di pagliacci»

Mercoledì 1 Novembre 2017 di Laura Cardia
Vargas Llosa

Per tutta la vita, Mario Vargas Llosa ha denunciato la violenza del nazionalismo; lo ha fatto anche l’8 ottobre, alla manifestazione unionista di Barcellona. Il suo riferimento agli anni in cui ha vissuto nella città catalana, che si «apriva al mondo per prendere le migliori idee e i migliori libri», è costante, così come la sua divertita incredulità davanti al finale dell’indipendentismo, neanche un mese dopo. 

Si aspettava questa conclusione, con la dichiarazione d’indipendenza e la fuga-non fuga dell’ex president Carles Puigdemont a Bruxelles?
«No, chi poteva aspettarsi una farsa del genere? Hanno improvvisato un colpo di Stato, senza calcolare le conseguenze. Quando hanno visto che non avevano l’appoggio dell’Unione Europea e che nella stessa Spagna c’era una reazione decisa, sono scappati! Cosa che li ha screditati moltissimo e che ha fatto perdere loro appoggio nella stessa Catalogna».

Perché Mariano Rajoy ha permesso di arrivare a questo punto, con tutto quello che ha significato per la Catalogna in perdita di denaro e di imprese?
«Rajoy dava l’impressione di guidare un governo inattivo, come se i problemi potessero risolversi da soli. Ma, per come sono andate le cose, sembra sia stata una strategia applicata coscientemente e ha funzionato! La mia idea personale è che non fosse necessario aspettare tanto, ma fortunatamente è andata bene. Si è applicato l’articolo 155 e tutto funziona con normalità in Catalogna, non c’è alcuna ribellione, una prova ulteriore che l’appoggio di cui godevano gli indipendentisti era minimo. È stata decisiva anche la fuga delle imprese, più di 1.800 hanno lasciato la regione, una vera catastrofe economica, e questo ha impressionato una parte molto grande della società».

Che ruolo giocherà la maggioranza silenziosa nelle prossime elezioni del 21 dicembre?
«Per quello che è successo in questi mesi, ricordando anche le due grandi manifestazioni unioniste di ottobre, penso che il 21 dicembre andranno a votare in tanti. Azzardo un pronostico: dopo questa farsa, diminuirà drasticamente la percentuale degli indipendentisti. Saranno elezioni molto interessanti».

Farà campagna elettorale?
«No, ho partecipato alla manifestazione dell’8 ottobre perché ho molto affetto per la Spagna e per la Catalogna. Ho vissuto a Barcellona 5 anni, quando era la capitale culturale della Spagna, e sentivo molto dolore al vedere quello che stava succedendo».

Cosa pensa del patto pre-elettorale tra forze costituzionaliste proposto da Ciudadanos?
«Una bella idea! Non facciano una lista unica, ma sì, si impegnino insieme dopo le elezioni. C’è una possibilità reale che i partiti costituzionalisti abbiano una maggioranza e sarebbe molto importante per la Catalogna e per la Spagna che si formasse quest’alleanza». 

Dovrebbe votare anche la Spagna, per scegliere un nuovo Governo, capace di dialogare con il desiderio di autonomia dei catalani, vero nocciolo della questione?
«Il problema non era la Spagna, ma il precedente governo della Generalitat, che voleva l’indipendenza sì o sì. Con nuove autorità catalane, legittimate dalle elezioni, si potrà negoziare e lavorare alla riforma della Costituzione, come proposto dal PSOE. Il Governo ha sempre dato la disponibilità al dialogo, nella legalità».

Rajoy è quindi l’uomo che può negoziare con la Catalogna?
«Credo di sì, esce rafforzato da questa crisi. Lo si è sempre visto come debole, indeciso, sconcertato, adesso ci si rende conto che la sua è stata anche una strategia, risultata vincente». 

Perché neanche l’Europa che ha nelle generazioni nate dopo la guerra le più colte della propria storia, grazie all’istruzione obbligatoria, riesce a liberarsi del nazionalismo?
«Il nazionalismo è una malattia incurabile, è sempre lì, si nasconde, si maschera e ogni pretesto lo fa rinascere. Disgraziatamente la cultura e l’educazione non sono vaccinazioni sufficienti, neanche nelle società di alto livello culturale: in Germania ne sanno qualcosa. Se la cultura o l’esperienza fossero antidoti non ci sarebbero più nazionalismi, ma temo che rifioriscano sempre, anche in Paesi in cui hanno causato tanto danno».

Un momento storico come questo che sta vivendo la Catalogna, con tante convulsioni e una società divisa, è buona ispirazione per uno scrittore?
«Credo che quello che va male sia sempre fonte di ispirazione.

Quando i Paesi vanno bene, la letteratura perde entusiasmo e ambizione; ma in quelli in cui le cose vanno male, è lei a consentire quello che non permette la realtà».

Ultimo aggiornamento: 2 Novembre, 08:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA