Covid e gene Neanderthal, Remuzzi: «Lo studio indica i rischi, ma non spiega le cause del fenomeno»

Il direttore dell’Istituto Mario Negri: la nostra ricerca non spiega le cause del fenomeno

Venerdì 15 Settembre 2023 di Graziella Melina
Covid, Remuzzi: «Lo studio sul gene di Neanderthal indica i rischi, ma non è una condanna»

Le variazioni genetiche che vengono dai Neanderthal si associano al covid nella forma più severa, ma non sono la causa». Dopo la pubblicazione su iScience dell’indagine Origin condotta dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano, il direttore Giuseppe Remuzzi, precisa: «Il nostro studio definisce dei gradi di probabilità». 

Partiamo dal risultato. Chi ha i geni di Neanderthal deve preoccuparsi?

«Lo studio dimostra che chi è stato esposto al virus ed è portatore dell’aplotipo di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare il covid grave, cioè polmonite, quasi tre volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva, e un rischio ancora maggiore di aver bisogno di ventilazione meccanica, rispetto ai soggetti che non hanno questo aplotipo. Ma il dato straordinario è che l’aplotipo di rischio viene da Neanderthal, quindi ha passato duemila generazioni circa, è arrivato a Nembro, Alzano e Albino e condiziona la gravità della malattia. Il nostro è un contributo, probabilmente ci sono tanti altri geni che contribuiscono alla manifestazione della malattia, ma questo in un certo senso pesa di più».

Si tratta quindi di probabilità in più di finire in ospedale?

«Questo gruppo di geni predispone al rischio: non vuol dire che chi ce l’ha si ammala in forma grave e gli altri no. Il nostro studio definisce i gradi di probabilità».

Ma perché proprio a Bergamo?

«Noi lo abbiamo trovato a Bergamo perché è lì che lo abbiamo cercato. Ma se l’avessimo cercato dove c’è stata una grande manifestazione della malattia, avremmo trovato probabilmente gli stessi dati. Questo aplotipo è molto frequente in Bangladesh, dove la malattia ha avuto una manifestazione clinica particolarmente importante. In Africa, invece, non c’è; e lì c’è stata una espressione della malattia molto meno severa che in altri continenti. Però se questo elemento ha un rapporto con Neanderthal, nessuno lo può dire finché non lo si studia».

Perché così tanti casi gravi in quella zona se non c’entra solo la genetica?

«Abbiamo tra l’altro scoperto che 12 casi su 10mila avevano contratto la malattia già a ottobre e novembre. Vuol dire che il virus circolava, e nessuno lo sapeva, in aree in cui vive una popolazione anziana, c’è una grande mobilità, ci sono attività commerciali industriali molto attive. Poi, nell’ambito di questa situazione abbiamo trovato una alterazione genetica che si associa alle forme più gravi».

È possibile a questo punto trovare farmaci più efficaci?

«Queste conoscenze ci hanno consentito di dimostrare che l’aplotipo, che si associa alla malattia più severa ma non la causa, comprende 3 geni che si ereditano tutti insieme: due che codificano i recettori delle citochine, e poi uno che regola lo sviluppo della funzione delle cellule delle vie respiratorie. Sappiamo ora che sono molte legate alla manifestazione clinica della malattia e possiamo studiare più a fondo queste proteine. E non è escluso che il nuovo studio ci aiuti capire perché arrivi la polmonite interstiziale, che è diversa da tutte le altre, e perché i malati hanno bisogno di assistenza respiratoria. Ma potremmo anche sapere come si possono manipolare farmacologicamente queste proteine».

Ma l’inquinamento conta?

«Può influire di sicuro nell’evoluzione della malattia. Se una persona fuma, vive in un ambiente inquinato, se ha un’insufficienza respiratoria, il covid si può manifestare in modo grave, ma questo non c’entra con la genetica».

La genetica conta invece per il vaccino?

«Sicuramente la risposta al vaccino è geneticamente determinata. Come lo è tutta l’immunologia. Poi ci sono altre ragioni: per esempio, se si fa una terapia immunosoppressiva, non si risponde al vaccino perché le cellule che devono formare gli anticorpi non funzionano, perché o sono state eliminate o compromesse».

La prevenzione serve comunque?

«Certamente. Noi abbiamo visto che ci sono geni che predispongono ad ammalarsi. Quindi, ancora di più è importante vaccinarsi e stare attenti e usare buon senso. Ormai quasi tutti abbiamo avuto la malattia, quasi tutti siamo vaccinati, e quindi è chiaro che il nostro sistema immunitario ha molte più armi per difendersi rispetto a quando abbiamo cominciato questo studio nel 2020». 

Ultimo aggiornamento: 22:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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