Roma, abusò della sua legale, condannato a due anni: ha assalito l’avvocatessa nella sala colloqui a Rebibbia

La donna è fuggita e ha allertato la polizia penitenziaria che l’ha salvata

Martedì 4 Aprile 2023 di Andrea Noci
Abusò della sua legale, condannato a due anni: ha assalito l’avvocatessa nella sala colloqui a Rebibbia

Lei avvocatessa. Lui detenuto. Lei avrebbe dovuto difenderlo in Tribunale e per stabilire come impostare la strategia difensiva si erano incontrati in una delle sale colloquio di Rebibbia. E invece, per la professionista, la routine si trasforma all’improvviso in un incubo. Il suo assistito la violenta, provando prima a baciarla. L’avvocatessa rifiuta, ma il detenuto continua a molestarla, arrivando ad abbassarsi i pantaloni. Solo l’intervento della polizia penitenziaria ha evitato il peggio.

A.M, pluripregiudicato di 40 anni, è stato condannato ieri in primo grado a due anni di reclusione per violenza sessuale. L’uomo era uscito dal carcere solo un paio di settimane fa, dopo aver finito di scontare pene legate ad altri reati. Adesso dovrà tornarci. 

LA VICENDA

Siamo nel settembre del 2017 e A.M. si trova a Rebibbia, condannato per aver commesso diversi reati tra cui spaccio di droga e ricettazione. Di lì a poco sarebbe andato di nuovo a processo, il legale al quale si rivolge affida il “caso” a una praticante del suo studio. Nei primi colloqui, i due imparano a conoscersi. «Era un uomo molto solo» dirà lei durante il processo. Forse anche per questo, l’avvocatessa decide di andarlo a trovare più volte. Ma, poi l’atteggiamento dell’uomo cambia: diventa sempre più esplicito, fino ad arrivare a manifestare il proprio interesse verso la donna, all’epoca 30enne. Nel frattempo, anche se sotto falso nome, il legale e il detenuto iniziano a scriversi delle lettere. E in una di queste, A.M. esprime i suoi sentimenti. A questo punto la donna tenta di fargli capire che un simile atteggiamento non è opportuno. E questo l’avvocatessa lo sa bene, perché pochi mesi prima è stata sottoposta a un procedimento disciplinare a causa di una relazione di due mesi con un suo assistito. A.M. ne era al corrente, forse anche per questo si spinge così avanti. 

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LE LETTERE

«Anche se quello che mi dici da donna mi può far piacere, come tuo avvocato mi mette in profonda difficoltà, non mi fa sentire a mio agio», scrive l’avvocatessa nell’ultima lettera che i due si scambiano prima dell’ultimo colloquio durante il quale si consumerà la violenza. «Se vuoi che continui ad essere il tuo avvocato - prosegue la praticante - devi cambiare atteggiamento, perché ricordati che quei bastardi vedono tutto. Posso essere una tua amica, ma tra noi due non ci deve essere niente». Il rifiuto di lei è categorico. I dubbi sul presentarsi o meno ad un nuovo incontro molto forti. 

LA VIOLENZA

Alla fine l’avvocatessa decide di andare. Non appena arriva in sala colloqui, l’uomo prova a darle un bacio. Lei lo allontana, mentre il detenuto cerca di tirarle su la maglietta. La donna riesce a staccarsi e scappa in bagno. Il cuore batte forte, il respiro è affannoso. Si prende un po’ di tempo per respirare e poi decide di tornare in sala colloqui. Prima di rientrare a prendere le proprie cose, avvisa la polizia penitenziaria di quanto accaduto. Allora gli agenti decidono di avvicinarsi alla sala, pronti a intervenire. Uno di loro resta vicino all’entrata, un altro esce e si apposta fuori dalla finestra. Ma quando la vittima rientra, A.M. riprende da dove aveva lasciato. Arriva a chiudere in un angolo la donna per provare ad approfittarsi di lei. L’avvocatessa urla e la polizia interviene. «Ma che stai facendo?», chiede uno dei poliziotti. «Perché che sto facendo? Mica nulla di male», risponde A.M. con i pantaloni abbassati.

Ultimo aggiornamento: 5 Aprile, 10:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA