Roma, fisioterapista condannato per molestie sessuali. La vittima si era rivolta a lui per un dolore al tallone

Il professionista è accusato di violenza sessuale. Inflitti 2 anni e 4 mesi di pena

Sabato 25 Marzo 2023 di Valeria Di Corrado e Andrea Noci
Roma, fisioterapista condannato per molestie sessuali. La vittima si era rivolta a lui per un dolore al tallone

Nel 2011 si rivolge a M.M., fisioterapista di 53 anni che all’epoca lavorava all’ospedale Idi di Roma. Lui dovrebbe guarirla da un fastidio al tallone con una terapia detta ipertermia, per la quale serve solo utilizzare uno specifico macchinario. Una volta entrata in quell’ambulatorio, però, precipita nell’incubo più nero. Il professionista abusa sessualmente di lei con massaggi che arrivavano a toccare le parti intime della paziente, approfittando del fatto che erano soli in ambulatorio. Dopo 12 anni e un processo annullato per un errore tecnico, che rischia di far finire tutto in prescrizione, il fisioterapista romano giovedì è stato di nuovo condannato dal Tribunale di Roma per violenza sessuale, questa volta a 2 anni e 4 mesi. La prima volta, invece, la pena inflitta dai giudici di primo grado era di 3 anni e mezzo. Ma la sentenza del 18 giugno 2014 era stata poi annullata dalla Corte d’appello perché all’ultima udienza di discussione cambiò un giudice del collegio e il Tribunale si dimenticò di dichiarare la rinnovazione del dibattimento.

LA VICENDA

La vittima, difesa dall’avvocato Francesco Bianchi, nell’aprile del 2011 inizia ad avere un forte fastidio al tallone e si rivolge allo specialista di medicina dello sport.

Dopo aver capito cosa causava il dolore, il dottore decide di prescriverle alcune sedute di ipertermia. Una cura che prevede l’utilizzo di uno strumento medico, manovrato da un professionista abilitato. Il giorno della prima seduta, il fisioterapista (poi condannato) chiede alla donna di togliere i pantaloni perché c’è il rischio di crampi e «lui deve essere libero di intervenire».

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Ma è alla seconda seduta che si consuma il reato. Stavolta l’imputato e la vittima sono soli in ambulatorio. Lui, come per la prima volta, le fa togliere i pantaloni, applica il macchinario sul tallone e poi le chiede: «Hai spesso dolori alla schiena?». Di fronte alla risposta affermativa della donna, il fisioterapista inizia a spiegare che i dolori sono causati dalla cattiva postura che lei assumeva per colpa del dolore al tallone, ma si offre di risolvere tutto con dei massaggi. A quel punto le alza la maglietta, le abbassa gli slip «perché se no non riesce a massaggiare bene», dice, e parte col massaggio. All’inizio è molto leggero, poi piano piano arriva a sfiorare alcune zone intime. Finita la seduta, la vittima si sente a disagio, tanto che al lavoro si confida con una collega.

Arriva il giorno della terza seduta. I due sono di nuovo soli. Stavolta la paziente, sperando di evitare il massaggio, dice al fisioterapista di non avere più dolori. Ma nulla cambia, anzi. Dopo averle fatto togliere i pantaloni e applicato il macchinario, lui la fa spogliare e inizia il massaggio, che stavolta arriva ancora più vicino alle zone intime della vittima. La seduta finisce, ma il disagio è troppo forte e diventa sofferenza. Il pensiero è uno solo: «Come ho fatto a non reagire?», si chiede la vittima spaesata. Ma poi, su consiglio del compagno e di un’amica psicologa, trova la forza di raccontare quanto accaduto al dottore di medicina sportiva. 

I PRECEDENTI

Qui scopre che già in passato altre donne avevano avuto gli stessi problemi con M.M. A quel punto la donna decide di denunciare, partono le indagini e durante il processo vengono scoperti i precedenti abusi. Già nel 2005 la prima vittima, con lo stesso modus operandi: soli in ambulatorio, domande su eventuali dolori alla schiena, l’offerta di massaggi per far passare tutto. Lo stesso accade nel marzo del 2011 ad un’altra donna: un dolore al ginocchio, la domanda su eventuali dolori alla schiena, l’offerta di un massaggio. In quel caso però la paziente, insospettita dall’insistenza del fisioterapista, riesce ad evitare il peggio con la scusa che servisse un’altra ricetta e non torna più. M.M. quando tornava a casa della compagna raccontava tutta un’altra storia. Una paziente oggi mi ha fatto «sorrisi, atteggiamenti di particolare simpatia». «Stai attento», le diceva la compagna, ma chi doveva stare attento non era di certo lui.
 

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